Biocarburanti
I biocarburanti sono dei combustibili divenuti sempre più popolari negli ultimi anni, sia per il loro prezzo contenuto che come alternativa meno inquinante agli idrocarburi fossili.
Ottenuti dalla lavorazione di sostanze organiche come vegetali o scarti di origine animale, oggi vengono impiegati per alimentare motori termici, per generare energia elettrica e per la produzione di gas naturale.
Ma quali sono le caratteristiche di questi innovativi combustibili, quali le tipologie disponibili sul mercato e come vengono prodotti?
Biocarburanti: cosa sono e come si producono
Con il termine biocarburanti si identificano tutti quei combustibili derivati dalla lavorazione delle biomasse, ovvero delle sostanze organiche sia di origine vegetale che animale. In termini più semplici, si tratta di combustibili che vengono ricavati dalla coltivazione diretta di alcuni vegetali, dagli scarti agricoli o d’allevamento, dalla lavorazione del legno e addirittura dalle alghe.
Questi carburanti vengono impiegati come alternativa ai combustibili fossili, per degli usi del tutto analoghi. Possono infatti alimentare motori termici, generare gas naturale oppure essere sfruttati per produrre energia elettrica. Proprio poiché ottenuti da sostanze organiche sia vegetali che animali, i biocarburanti vengono considerati delle fonti rinnovabili: a differenza di petrolio, carbone e altri minerali, la loro disponibilità non è limitata né nelle quantità né nel tempo.
Lo sviluppo dei biocarburanti è cominciato nella seconda metà del secolo scorso, principalmente per rispondere a due quesiti: trovare una valida alternativa al petrolio, dati i giacimenti mondiali già allora in esaurimento, e scoprire dei combustibili meno inquinanti a livello ambientale. L’obiettivo era quello di definire un circolo virtuoso dove gli scarti di alcune attività umane, come appunto l’agricoltura o l’allevamento, potessero essere riutilizzati per dei carburanti economici, altamente efficienti, a basso impatto di CO2 e privi di metalli pesanti dannosi per la salute.
Oggi è possibile ottenere biocarburanti dalle più svariate fonti. Per il combustibile ottenuto in ambito agricolo si prediligono piante come il mais, la soia, la colza e il girasole, ma non manca nemmeno il recupero di oli vegetali di origine industriale, scarti della lavorazione del legno, alcune alghe marine nonché il riciclo di letame e altri concimi di origine animale.
Questi idrocarburi rinnovabili vengono prodotti tramite un complesso processo di fermentazione, in apposite strutture: con il tempo, un microclima controllato e l’azione di batteri anaerobici – ovvero capaci di sopravvivere in assenza di ossigeno – la decomposizione della sostanza organica genera un olio vegetale infiammabile e del gas naturale.
Differenza tra biocarburanti e biocombustibili
Quando si ricercano informazioni sui carburanti di origine organica, è molto probabile imbattersi nel termine biocombustibili, affiancato a quello di biocarburanti. La domanda sorge quindi spontanea: fra di loro esiste una differenza?
Nel linguaggio comune, le parole biocarburante e biocombustibile vengono utilizzate come sinonimi. Entrambe indicano infatti un composto organico, animale o vegetale, impiegato per alimentare motori, produrre gas naturale o generare energia elettrica.
Negli ultimi anni si tende tuttavia a una maggiore diversificazione, seppur per semplice comodità linguistica. Biocombustibile viene perlopiù usato per indicare le alternative organiche ai classici combustibili per motori termici, quali diesel e benzina. Sempre più di frequente viene però scelto il corrispettivo inglese, quello di biofuel, forse anche per evitare confusioni.
Come si producono i biocombustibili?
Considerando i biocombustibili e biocarburanti insieme, si possono rilevare due principali modalità di produzione:
- Produzione per fermentazione: viene scelta per ricavare combustibili sia liquidi che gassosi, come il biogas e il bioetanolo, utilizzati per la combustione diretta oppure come additivi ai carburanti fossili più comuni. Nel caso dei biocombustibili liquidi, alcuni scarti vegetali di cereali, tuberi e vinacce vengono inseriti in camere di fermentazione: la decomposizione degli zuccheri genera un olio vegetale infiammabile. Per i combustibili gassosi, si inseriscono scarti vegetali e animali in una camera di fermentazione priva di ossigeno, dove alcuni batteri anaerobici provvedono alla loro decomposizione e al rilascio di gas;
- Produzione per lavorazione: è tipica dei carburanti che vengono impiegati per i motori, come il biofuel, e si ricavano dalla lavorazione industriale degli oli vegetali della colza o del girasole, per ottenerne un liquido viscoso dalle proprietà simili al diesel.
Biocarburanti di prima generazione
I biocarburanti oggi disponibili sul mercato vengono suddivisi non solo per i loro utilizzi finali, ma anche per generazione. Non bisogna però intendere il termine generazione in senso cronologico, cioè come un miglioramento nel tempo delle tecniche d’estrazione o della qualità del carburante, bensì come una diversificazione in base alle sorgenti di produzione.
All’interno della prima generazione vi rientrano tutti quei biocarburanti ricavati direttamente da sostanze organiche a uso alimentare, come vegetali ricchi di zucchero e amidi, grassi animali e oli vegetali. Grano, canna da zucchero, mais e girasole rappresentano le principali fonti per la prima generazione.
Poiché queste fonti vengono usate direttamente, ovvero non si ricorre a scarti agricoli o di lavorazione industriale, le sostanze organiche vengono di fatto sottratte all’alimentazione. In altre parole, il mais coltivato per ottenere biocombustibili non verrà utilizzato per la produzione di alimenti.
Biocarburanti di seconda generazione
A differenza dei precedenti, i biocarburanti di seconda generazione si ricavano da scarti vegetali in agricoltura oppure dalla coltivazione di piante non destinate al consumo umano. Per questa ragione, non hanno alcun impatto sulle risorse disponibili per la produzione di cibo.
La colza rappresenta una delle sorgenti organiche non alimentari maggiormente diffusa: da questa pianta floreale si estrae un combustibile dalle proprietà simili al diesel. A questa si aggiunge il miscanto, un’erba perenne, così come alcune alghe marine.
Per il recupero degli scarti, si procede sia in fase di produzione – ad esempio raccogliendo le parti di ortaggi e tuberi non destinate al mercato alimentare – che dopo il consumo.
Biocarburanti di terza generazione
All’interno del gruppo dei biocarburanti di terza generazione vengono invece inseriti tutti quei combustibili che, oltre a non derivare da coltivazioni alimentari, si avvalgono di sorgenti organiche a elevatissima resa.
Fra queste vi sono alcune alghe e microalghe marine, ma anche varietà di alberi ornamentali ottenute da incroci e perfezionamenti genetici. Ad esempio, grazie alla mappatura del genoma dei pioppi si è ottenuta una varietà a basso contenuto di lignina: questa caratteristica permette di lavorare il legno con più facilità e favorire l’estrazione dei suoi oli.
Biocarburanti fai da te
Accanto alla produzione commerciale di biocombustibili da parte di società specializzate, negli ultimi anni è cresciuto enormemente il trend dell’autoproduzione. Complice anche il passaparola sui social network, sempre più persone hanno deciso di ricavare dei biocarburanti fai da te per i loro veicoli diesel, riciclando alcuni degli oli vegetali più comuni all’interno delle abitazioni.
La modalità più diffusa è quella del riutilizzo di oli usati per la frittura, come quello di girasole. Questo olio può essere impiegato sia prima che dopo l’uso in cucina, seguendo procedure abbastanza complesse, che richiedono non solo manualità ma anche competenze chimiche specifiche. A questo scopo, da qualche anno sono nati siti e forum con tutte le informazioni del caso, nonché vere e proprie guide vendute online oppure in libreria.
In linea generale, il processo prevede diverse procedure di filtraggio dell’olio vegetale – in particolare se si decide di utilizzarlo dopo la frittura – per rimuoverne le impurità. Dopodiché, è necessario seguire dei precisi passaggi per trattare l’olio con altre sostanze chimiche, come l’alcol etilico o la soda caustica, a specifiche temperature.
Come già anticipato, la procedura non è alla portata di tutti e senza la corretta esperienza rischia di essere addirittura pericolosa, poiché si dovranno maneggiare anche sostanze ustionanti o irritanti. Ancora, non tutti i motori diesel risultano compatibili con i biocarburanti fai da te, meglio quindi affidarsi alle informazioni fornite dal produttore della vettura.
Cosa sono i biocarburanti liquidi
A livello commerciale, i combustibili organici che stanno suscitando il maggiore interesse sono certamente i biocarburanti liquidi. Con questa definizione si tende a indicare quei biocombustibili usati come alternativa ai classici idrocarburi fossili, come benzina e diesel.
Tra i più diffusi biocarburanti liquidi si elencano il biodiesel, scelto in sostituzione del classico diesel derivato dal petrolio, e il bioetanolo. Quest’ultimo è usato soprattutto come additivo per la comune benzina, per aumentare il numero dei chilometri percorribili ogni singolo litro di rifornimento.
Biodiesel: cos’è
Il biodiesel rappresenta uno dei biocombustibili più diffusi e ricercati, poiché garantisce delle performance del tutto simili al classico diesel, a costi però decisamente inferiori.
Si tratta di un biocarburante derivato dalla lavorazione di oli vegetali, soprattutto di colza e girasole, lavorato e raffinato affinché possa essere impiegato nei comuni motori diesel. A seconda del vegetale d’origine può assumere una colorazione giallognola oppure trasparente e presenta una viscosità praticamente identica all’alternativa ottenuta dal petrolio.
Nonostante questo biocarburante possa essere anche autoprodotto, a livello europeo sono state definite delle precise normative per stabilirne le proprietà organiche e chimiche, così da scongiurare danni ai motori o conseguenze indesiderate alla salute delle persone.
Come si produce il biodiesel
Il biodiesel si ottiene dalla lavorazione dell’olio di spremitura di alcune coltivazioni vegetali, sia non commestibili che destinate al consumo umano. Fra queste vi sono la colza, la soia, l’olio di palma, l’olio di girasole e molti altri ancora.
Per poter essere utilizzato come carburante, l’olio vegetale ottenuto dalla spremitura viene sottoposto a un complesso processo chimico, per renderlo infiammabile e adatto ai motori. Questo procedimento è chiamato transesterificazione e consiste nel far reagire l’olio con dell’alcol metilico e della soda caustica. Se ne ricava così una sostanza viscosa e infiammabile, dalla colorazione trasparente e abbastanza inodore, dalle proprietà fisiche e chimiche analoghe proprio al diesel.
Quali sono i vantaggi del biodiesel
Sono molteplici i vantaggi del ricorso al biodiesel sia in ambito agricolo che industriale, nonché per la mobilità privata. Dalla protezione dell’ambiente fino al risparmio economico, oggi il biodiesel rappresenta una delle alternative più interessanti agli idrocarburi fossili.
In linea generale, i pro del biodiesel possono essere così sintetizzati:
- Fonte rinnovabile: a differenza dei derivati dal petrolio, il biodiesel è effettivamente una fonte rinnovabile. Le specie vegetali da cui si ricava sono particolarmente diffuse, facili da coltivare e dal ciclo di vita potenzialmente infinito. Non è soggetto quindi alla scarsità tipica dei giacimenti di petrolio e delle altre fonti minerali;
- Impatto ambientale: se impiegato per alimentare i motori a scoppio, il biodiesel produce meno anidride carbonica rispetto alle alternative canoniche. Ancora, è privo di metalli pesanti e altri inquinanti atmosferici, anche se non può essere considerato una fonte pulita al 100%;
- Costo: questo biocarburante è offerto sul mercato a meno della metà del prezzo di un litro di diesel classico, poiché non si tratta di una risorsa scarsa e finita. Un litro di biofuel può costare anche pochi centesimi di euro, tra gli 0.5 e gli 0.9 a seconda del vegetale d’origine.
Cos’è il bioetanolo
Il bioetanolo è un carburante dalle proprietà molto simili alla classica benzina, a cui viene miscelato come additivo per aumentare il numero di chilometri percorribili con un solo litro, abbattendo così i costi del pieno.
Questo biocombustibile si ottiene dalla fermentazione di alcune piante normalmente impiegate in agricoltura – tra cui cereali, tuberi, patate, barbabietola e vinacce – grazie al loro elevato contenuto di zuccheri. Il processo di decomposizione di questi vegetali, unito a un microclima forzato, genera un olio infiammabile dalla colorazione trasparente.
Il prezzo di un litro di bioetanolo si aggira attorno ai 3 euro. Il combustibile non viene però solitamente impiegato puro per i motori termici, bensì è mescolato alla comune benzina con percentuali massime del 20%. Il costo al litro viene pertanto rapidamente compensato: in media, la spesa per singolo rifornimento di benzina si riduce del 30%.
Negli ultimi tempi è molto diffuso il ricorso del bioetanolo anche a livello domestico, ad esempio per alimentare caldaie oppure per i caminetti di ultima generazione.
Qual è la differenza tra bioetanolo e benzina?
Nell’immaginario comune, benzina e bioetanolo vengono considerate due sostanze intercambiabili. Questo perché entrambi i combustibili sono stati progettati per motori a benzina e, di conseguenza, si pensa che le prestazioni siano le medesime. In altre parole, il bioetanolo sarebbe l’alternativa più pulita ma altrettanto efficace proprio dell’idrocarburo fossile.
In realtà, fra le due esistono delle fondamentali differenze. Innanzitutto, il bioetanolo puro può essere sfruttato solo nelle vetture con motore FLEX, una soluzione disponibile sul mercato dalla metà degli anni ‘90. Questo motore può funzionare a benzina, a bioetanolo o con una miscela dei due. In tutti gli altri casi, il bioetanolo può essere scelto solo come additivo.
Ancora, il bioetanolo ha un potere calorifico inferiore alla benzina, pertanto se ne consuma anche il 50% in più per i medesimi tragitti. La soluzione migliore oggi sul mercato è quindi quella della miscela, che permette di ridurre i costi di rifornimento e allungare il chilometraggio per singolo pieno.
Qual è la differenza tra biodiesel e diesel?
Meno marcata è invece la differenza tra biodiesel e diesel, due carburanti che dimostrano di avere un’efficacia pressoché analoga. La sostanziale diversità fra i due prodotti è nell’origine della materia prima: il petrolio per il diesel, le biomasse vegetali per il biodiesel.
A livello di performance, il biofuel appare leggermente meno potente dal derivato del petrolio: a parità di rifornimento, permette di percorrere circa il 10% di chilometri in meno. Ma il prezzo ridotto, l’origine vegetale e il minor impatto sull’ambiente compensano più che abbondantemente questa limitazione.
La gran parte dei motori diesel oggi disponibile sul mercato funziona regolarmente anche con il biofuel o, ancora, con una miscela fra i due. Non è però semplice trovare distributori attrezzati sul territorio italiano, perché la catena di distribuzione non è ancora capillare.
Biocarburanti: vantaggi e svantaggi
La diffusione sempre più massiccia dei biocarburanti ha permesso a esperti di settore e università di valutarne i vantaggi e gli svantaggi. In linea generale, i biocombustibili rappresentano un’alternativa meno inquinante rispetto a benzina e diesel, ma non possono ancora considerarsi completamente verdi. La produzione può infatti andare a discapito di risorse destinate all’alimentazione o all’allevamento. Ancora, proprio perché si avvalgono di un processo di combustione, comportano sempre l’emissione di una certa quantità di anidride carbonica e altri gas serra.
Tra i pro dell’impiego di biocarburanti si elencano:
- Ridotto impatto ambientale: i carburanti ricavati da biomasse sono di fatto delle fonti rinnovabili, come accennato nei precedenti paragrafi, e non risentono quindi della scarsità dei giacimenti tipica del petrolio. Ancora, parte della CO2 prodotta viene riassorbita dal nuovo cicli vitale delle coltivazioni di cui si avvalgono, inoltre sono pressoché privi di metalli pesanti dannosi per la salute;
- Costi contenuti: a parità di performance, i biocarburanti possono costare anche il 50% in meno rispetto a benzina e diesel, per un risparmio sensibile sui costi di trasporto;
- Recupero degli scarti: i biocombustibili generano un’economia circolare e virtuosa con altre realtà produttive, recuperando rifiuti e scarti che altrimenti verrebbero sprecati.
Sul fronte dei contro all’utilizzo, bisogna invece fare le seguenti considerazioni:
- Sfruttamento di risorse alimentari: se di prima generazione, i biocarburanti sfruttano coltivazioni normalmente scelte per il consumo alimentare. Il peso della modifica delle destinazioni d’uso di queste piante commestibili è maggiore nei Paesi meno sviluppati, dove le risorse alimentari sono già scarse;
- Deforestazione: l’aumento della richiesta di biocarburanti sul mercato sta spingendo molte nazioni, soprattutto a Sud del mondo, a disboscare intere foreste per far spazio a campi di colza, girasole e olio di palma;
- Non sempre carbon-neutral: non tutti gli idrocarburi vegetali possono approfittare di una compensazione completa della CO2 con il ciclo vitale delle piante d’origine, quindi non possono considerarsi energia al 100% pulita;
- Meglio l’elettrico: per il trasporto privato o commerciare, la mobilità elettrica si sta rivelando più versatile e amica dell’ambiente. Durante la guida queste vetture non emettono nessun tipo di gas serra, mentre in fase di ricarica non hanno un grande impatto in termini di CO2 emessa se alimentate con fonti rinnovabili.
Situazione in Italia
I biocarburanti sono sempre più popolari in Italia, soprattutto a uso industriale o per il trasporto commerciale. Secondo alcuni recenti dati raccolti da Confindustria, negli ultimi 10 anni il ricorso è aumentato di circa il 600%, attestandosi attorno agli 1.2 milioni di tonnellate l’anno.
Lo Stivale ha stimolato sin dalla fine dei primi anni 2000 l’adozione dei biocarburanti, tramite appositi incentivi e recependo le indicazioni ricevute a livello europeo, che già nel 2008 aveva stabilito una soglia minima del 2% di biocarburanti per soddisfare il fabbisogno energetico degli Stati Membri.
Nel nostro Paese il biodiesel è il biocombustibile più gettonato, seguito dal bioetanolo miscelato alla benzina. Quasi completamente assente è invece il bioetanolo puro, relegato a trasporti di nicchia oppure per i riscaldamenti di ultima generazione.
Purtroppo i biocarburanti non sembrano aver conquistato i privati italiani, i quali per le loro automobili si affidano ancora ai classici benzina e diesel. Ancora, il guidatore medio tricolore sembra essere più attratto dalle novità in tema di vetture elettriche che non al ricorso al biofuel.
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