Scambio sul posto: AEEG colpisce le rinnovabili per quattro centesimi in meno sulla bolletta
L'Autorità per l'Energia con un documento di consultazione colpisce lo scambio sul posto e l'autoconsumo per ottenere delle riduzioni irrisorie in bolletta.
L’innovazione sembra non abitare dalle parti dell’Autorità per l’Energia. Si potrebbe sintetizzare così il recente documento di consultazione – 488/2013/R/EFR – con il quale l’Autorità ha reso noti quali siano i propri orientamenti in materia di scambio sul posto. In sintesi l’autoconsumo, ossia una delle peculiarità della generazione distribuita, deve essere limato in maniera sostanziale affinché si vada a “un’adeguata remunerazione del capitale investito” che oggi appare quindi secondo l’Autorità eccessivo.
Già è originale il fatto che sia l’Autorità a decidere quale debba essere la remunerazione degli impianti, attraverso un sistema contorto e non il legislatore, ma la cosa si aggrava se consideriamo il fatto che il provvedimento interesserà, se dovesse essere consolidato così come è, gli impianti installati in un recente passato maggiori di tra i 20 e i 200 kWp – quindi salvando il fotovoltaico domestico di piccola taglia – con un tetto sulla restituzione dei corrispettivi relativi allo scambio sul posto per quanto riguarda la componente A3, e con l’azzeramento per quelli superiori ai 200 kWp.
Si tratta di una modifica che fa andare in salita, con aumento dei tempi di ritorno sull’investimento gli impianti esistenti ammessi a incentivazione, tocca, probabilmente, in maniera marginale quei pochi realizzati senza incentivi, ma sopratutto crea un quadro d’ulteriore incertezza sul futuro delle rinnovabili e della generazione distribuita. La non restituzione di una parte, o tutti, gli oneri di sistema, infatti, renderà più difficile il raggiungimento della grid parity, poiché le rinnovabili dovrebbero vedersela, a questo punto, con una grid parity sul lato produzione e non su quello utenza, cosa che ne allungherebbe il raggiungimento nel tempo e potrebbe metterne in serio dubbio lo sviluppo della generazione distribuita. Da non sottovalutare, inoltre, la platea che sarebbe colpita dal provvedimento. Gli impianti che utilizzano lo scambio sul posto di queste dimensioni appartengono in massima parte a famiglie, Pmi, aziende agricole, terziario ed enti pubblici tutti soggetti che stanno già subendo i morsi della crisi, ma che secondo l’Autorità sono dei “privilegiati”.
E di che cifre stiamo parlando? Alla fine del documento l’Autorità dice testualmente: «Si evidenzia infine che gli orientamenti presentati nel presente documento, qualora confermati, potrebbero comportare una riduzione del 15% dell’impatto dello scambio sul posto nell’ambito della totale componente tariffaria A3».
Secondo i dati della stessa Autorità, pubblicati sul sito di Assoelettrica, infatti, lo scambio sul posto ha pesato sulla componente A3, nel 2012 per lo 0,7% della stessa e precisamente per 76 milioni di euro. Bene il 15% di questi 76 milioni sono circa 11,4 milioni di euro l’anno che come risultato per un intervento d’alleggerimento delle bollette è abbastanza residuale. In pratica si tratta di una riduzione del 0,11% sul totale dei 10.149 milioni complessivi della componente A3. Una cifra che se spalmata sulle bollette elettriche delle famiglie italiane, che sono secondo l’ultimo censimento Istat 21,8 milioni, porterebbe a un risparmio per le stesse della “stratosferica” cifra di 0,52 euro l’anno a famiglia. Ossia 4 centesimi di euro al mese.
Bene se questi sono i numeri c’è da chiedersi come mai si prendano simili provvedimenti quando anche “solo” i margini di risparmio per il sistema elettrico sarebbero molto maggiori se si facessero altre operazioni, come quelle che sta facendo Terna sulla rete di trasmissione. Il solo collegamento sottomarino Sapei tra la Sardegna e il Lazio abbatte le bollette elettriche di circa 60 milioni di euro l’anno e produrrà, una volta ammortizzato nei primi dieci anni, altri 60 milioni di euro di risparmi netti ogni anno, per i restanti 40 anni di vita dell’elettrodotto. Fanno, per inciso, 2,4 miliardi di euro di guadagni netti in 50 anni. In questo quadro appare chiara la volontà politica, che esula con ogni probabilità dalle competenze dell’autorità, di voler limare con sempre maggiore precisione chirurgica la redditività delle rinnovabili a favore delle fonti fossili attraverso una “presunta” parità di prezzo dell’elettricità prodotta, senza tenere minimamente conto, come al solito delle esternalità ambientali. Ma qui il discorso ci porterebbe lontano.