
Qualche giorno fa, l’Unione Europea ha annunciato nuovi obiettivi ambiziosi per la riduzione dello spreco alimentare, da raggiungere entro il 2030. I produttori e i vari attori coinvolti nelle filiere agroalimentari sono chiamati a ridurre il 10% dello spreco strutturale, basandosi sulla media dei dati raccolti tra il 2021 e il 2023. Questo intervento, se applicato ai rivenditori finali, potrebbe tradursi in una diminuzione complessiva del 30%. L’iniziativa mira non solo a diminuire lo spreco, ma anche a ridurre le emissioni associate, che, secondo la Convention on Climate Change delle Nazioni Unite, rappresentano tra l’8% e il 10% delle emissioni globali. Tuttavia, i singoli Stati membri hanno la libertà di scegliere come implementare queste misure.
Per comprendere quali strategie siano più efficaci, è utile analizzare le esperienze passate. Il Food Banking Network, in collaborazione con la Food Law and Policy Clinic dell’Università di Harvard, ha esaminato le normative adottate in Francia, Perù e Corea del Sud, tutte focalizzate sulla deterrenza, sebbene con approcci diversi.
Il rapporto sullo spreco alimentare
Il risultato di questa analisi è stato pubblicato in un rapporto che evidenzia la gerarchia di priorità nelle politiche antispreco. In primo luogo, si deve puntare alla prevenzione dello spreco alimentare. Qualora ciò non sia possibile, il cibo scartato deve essere ridistribuito a chi ne ha bisogno o destinato agli animali. Se neppure questa opzione è praticabile, il cibo deve essere avviato a processi di trasformazione anaerobica, in modo da recuperare biogas o almeno parte dei nutrienti.
Nei tre paesi analizzati, le misure adottate prevedono tutte elementi di deterrenza, come sanzioni per chi non rispetta le normative. Secondo gli autori del rapporto, questo approccio si è rivelato efficace, costringendo i produttori a modificare i comportamenti che portano allo spreco per evitare multe e altre penalizzazioni.
Tre modi di declina la deterrenza
Tuttavia, ciascun paese ha interpretato la deterrenza in modo diverso. In Corea del Sud, ad esempio, ogni chilo di cibo sprecato costa ai cittadini circa 0,06 dollari. Per le grandi aziende, la situazione è molto più severa: è vietato conferire il cibo in discarica e le aziende devono rendere conto alle autorità locali di ciò che viene eliminato e di ciò che viene riciclato. Le sanzioni possono arrivare fino a 50.000 euro, e le violazioni possono comportare conseguenze penali, incluse pene detentive fino a sette anni.
In Francia, le normative inizialmente riguardavano i grandi produttori, quelli che generano oltre 120 tonnellate di cibo all’anno. Con il passare del tempo, le regole sono state estese anche ai produttori più piccoli. Entro la fine del 2023, le nuove norme sono diventate obbligatorie per tutti, senza eccezioni. Queste prevedono il divieto di distruggere cibo commestibile e stabiliscono procedure per la separazione e il riciclo dei rifiuti alimentari. Le sanzioni per chi non si adegua possono arrivare fino a 150.000 euro, con pene detentive fino a quattro anni.
Migliore organizzazione
Il rapporto mette in luce che, sebbene queste normative siano efficaci, presentano anche delle limitazioni, specialmente per quanto riguarda le donazioni. Nonostante un aumento significativo nella quantità di cibo donato da parte dei supermercati, la qualità media degli alimenti donati è diminuita, con molti prodotti che scadono entro 48 ore dalla donazione. Recentemente, si è registrato un calo delle donazioni, che potrebbe indicare un effettivo abbattimento dello spreco.
Il Perù, dal canto suo, ha adottato misure simili, vietando la distruzione del cibo e incentivando le donazioni attraverso leggi specifiche. Anche se le sanzioni non sono severe come quelle della Corea del Sud e della Francia, le nuove normative hanno avuto un impatto notevole, con un incremento costante delle donazioni, che sono passate da 20.000 a 36.000 tonnellate al giorno.
Gli aspetti indiretti
Le politiche di Francia, Perù e Corea del Sud si concentrano principalmente sull’obiettivo di modificare i comportamenti dei grandi produttori. Questo processo comporta costi iniziali per le aziende, che devono organizzare la distribuzione delle donazioni e gestire il trasporto del cibo ai punti di raccolta. Per supportare queste iniziative, sia in Francia che in Perù, sono stati previsti incentivi fiscali, almeno nelle fasi iniziali. In Perù, questo approccio fiscale è stato cruciale per il successo delle iniziative filantropiche.
Inoltre, gli autori del rapporto evidenziano che, nel lungo periodo, i costi tendono a ridursi. Le aziende diventano più efficienti nella gestione degli stock e nelle strategie di marketing, portando a un abbattimento dei costi operativi. Non gestire lo spreco alimentare comporta costi invisibili che, in media, rappresentano circa l’1% del fatturato. I risparmi aumentano in proporzione alle dimensioni aziendali. Infine, gli investimenti governativi in infrastrutture dedicate non solo supportano le aziende, ma aumentano anche le probabilità di successo delle politiche antispreco, che si rivelano fondamentali per il benessere ambientale e sociale.