Ripensare le città post-Covid significa promuovere l’elettrico
Il futuro delle città si disegnerà intorno a diverse esigenze che il coronavirus ha non solo reso irrinunciabili ma per certi versi accelerato.
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Il futuro delle città si disegnerà intorno a diverse esigenze che il coronavirus ha non solo reso irrinunciabili ma per certi versi accelerato. Il distanziamento sociale, la sostenibilità ambientale, la disponibilità di infrastrutture sempre più capillari per la mobilità elettrica, non solo quella delle automobili. Ma anche quella, perché specialmente in certi territori le quattro ruote resteranno indispensabili.
L’architetta spagnola Beatriz Colomina ha per esempio spiegato che “l’architettura moderna ha più che altro a che fare con la difesa della salute“. Così l’urbanistica. E d’altronde della difesa della salute fanno parte non solo le misure di distanziamento fisico che dovremo introiettare per bloccare la pandemia ma anche quelle legate all’abbattimento dell’inquinamento atmosferico, che in fondo produce ogni anno sette milioni di morti dei quali 2,9 riconducibili a particolato e polveri sottili. Non è un caso, per esempio, che la città di Chicago abbia approvato un’ordinanza, proposta dalla sindaca Lori Lightfoot, secondo la quale i nuovi edifici residenziali con più di cinque appartamenti e quelli commerciali con più di 30 posti auto dovranno destinare almeno il 20% degli stalli alle colonnine di ricarica. Insomma, dovranno essere “EV ready” alla consegna.
Si tratta ovviamente di una scelta approvata in base ai dati di vendita: entro il 2040, negli Stati Uniti, il 57% dei veicoli venduti sarà elettrico e il 16% degli americani si dice pronto ad acquistare, come prossima auto, un mezzo pulito. Le città dunque si preparano e il coronavirus, che metterà a dura prova i sistemi pubblici di trasporto, non potrà che spingere l’elettrificazione. Il mercato è cresciuto rapidamente negli ultimi dieci anni, anche grazie alla diminuzione del costo delle batterie – crollato dell’85% rispetto al 2010, ne abbiamo parlato – e secondo l’International Energy Agency nel 2018 i punti di ricarica in tutto il mondo erano 5,2 milioni, +44% sull’anno precedente. C’è da scommettere che già oggi siano molti di più e parecchi progetti stanno viaggiando in quella direzione. Anche in termini di diversificazione delle modalità: è il caso, per esempio, il progetto Ionity a cui partecipa anche il Gruppo Volkswagen, che condurrà all’installazione sulle autostrade italiane di 20 nuove stazioni ad alta potenza entro l’anno, con l’obiettivo di arrivare a 60. La scorsa estate in Italia c’erano 7mila stazioni di ricarica e il target per il 2030 è di arrivare a 45mila.
La ricarica pubblica, dentro e fra le città, è dunque fondamentale: in Italia, con 60 milioni di persone e 40 milioni di automobili, non tutti possono disporre di spazio privato o garage per una ricarica esclusiva. Per questo la distribuzione delle colonnine è un fatto di democrazia e di opportunità di crescita per il settore. Uno dei primi problemi di chi fosse intenzionato a un acquisti a impatto zero è infatti proprio quello: dove ricarico e come? I centri abitati del presente, più che del futuro, dovranno viaggiare in quella direzione.
La mobilità nelle città post-Covid dovrà poi essere, superati i requisiti di sanificazione, ancora di più quella della condivisione (preferibilmente pulita). Se in una prima fase la paura e le misure condurranno a un maggior ricorso al trasporto privato e l’avversione per quello pubblico, sul medio periodo ogni mezzo recupererà infatti la sua dimensione e avrà bisogno dei suoi spazi: la bici per le distanze brevi (più piste), i trasporti per quelle medie (più corse e mezzi più sicuri), l’auto per quelle extraurbane, quelle senza alternative e per quelle specifiche (più ricariche, incentivi alla conversione verso mezzi “green”). Più che sottrarre spazio ai mezzi privati, dunque, la pianificazione dovrà puntare sul ricavare il giusto (e sicuro) spazio per tutti. Anche perché lo “smart working” ribalterà le dinamiche del lavoro e dunque della mobilità cittadina. In un mondo in cui il pendolarismo sarà ridotto, bisognerà prendere a cuore un’altra questione di salute: quella della sedentarietà. I quartieri dovranno ospitare più parchi, aree verdi, strutture sportive all’aperto per consentire ai cittadini di mantenere una vita attiva.
Secondo le analisi di BloombergNef, i passeggeri dei veicoli elettrici cresceranno su scala globale a 28 milioni nel 2030. E alla fine degli anni Venti del XXI secolo si toccherà la parità di prezzo, superandola, fra veicoli a motore termico e quelli elettrici. Alcune organizzazioni, fra cui Legambiente, hanno provato a tracciare delle linee guida per aiutare sindaci, amministratori locali e nazionali, oltre a investitori, a immaginare le città post-pandemiche: si va dalla necessità di garantire la sicurezza sui trasporti pubblici ai nuovi percorsi ciclabili, dalla sharing mobility da rafforzare alla transizione verso la mobilità sostenibile fino allo smart working.
Per altre ricerche, come quelle firmate da Wood Mackenzie, la pandemia si farà invece sentire pesantemente anche sulle vendite globali di veicoli a ero emissioni. Nel 2020 si venderanno 1,3 milioni di pezzi, il 43% in meno in confronto allo scorso anno. Il mercato automobilistico è ovviamente alla ricerca di una via d’uscita dalla crisi ma in fondo in Europa le vendite di veicoli plug-in nei primi due mesi del 2020 erano cresciute del 121% a fronte di un calo complessivo del mercato. E perfino a marzo le immatricolazioni di elettriche in Italia sono cresciute del 49%: nel primo trimestre, l’aumento è stato del 366%. Le politiche ambientali, e dunque anche le nuove forme che assumeranno le città del futuro, sono al centro delle ragioni d’acquisto: disponibilità e prezzi dei modelli, colonnine, incentivi come parcheggi gratuiti ed esenzioni.
Un passo avanti nel tempo? La Cina. Nel tentativo di ripartire a pieno dopo l’impatto del virus, la repubblica popolare non ha esitato a stimolare il mercato dei veicoli a impatto zero con sussidi, esenzioni dalle tasse che sarebbero scaduti quest’anno sono stati prolungati al 2022. E l’investimento sull’infrastruttura di ricarica è stato di 2,7 miliardi di yuan, quasi 400 milioni di euro. L’obiettivo è sostenere il settore, certo, ma anche cogliere la pandemia per favorire un rinnovamento del parco auto verso la sostenibilità. Il Gruppo Volkswagen, entro il 2025, installerà in tutta Europa. Secondo le stime della casa tedesca, nel prossimo futuro il 70% di tutte le operazioni di ricarica si svolgeranno infatti a casa o al lavoro. È proprio lì – sotto casa, negli edifici pubblici, nei box, nelle aree deputate, nei parcheggi di scambio – che l’elettrico deve seguire i cittadini che cercano nuovi modi per muoversi, certo, ma anche modi meno impattanti di possedere, condividere o noleggiare una macchina.