Protossido di azoto: gli effetti sul pianeta del gas serra
Il protossido di azoto è un potente gas serra. La sua presenza contribuisce significativamente al riscaldamento globale per il suo potenziale di ritenzione del calore di gran lunga maggiore rispetto alla CO2. Le fonti principali di N2O includono l'agricoltura, i fertilizzanti ed i processi industriali. Sebbene rappresenti una percentuale relativamente bassa delle emissioni totali, il suo impatto elevato ci pone di fronte all'esigenza di limitarne e monitorarne le fonti.
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Il protossido di azoto – noto anche come ossido di diazoto, monossido di diazoto o ossido nitroso – desta sempre più preoccupazione in ambito ambientale per il fatto di rientrare tra i più pericolosi gas serra: ha un potenziale di riscaldamento globale di gran lunga superiore a quello della CO2 e ciò lo ha reso uno dei protagonisti (seppur inizialmente sottovalutato) in fatto di cambiamenti climatici. In questo articolo ne analizziamo gli effetti, il suo impatto sull’atmosfera e le connessioni tra le attività umane e l’aumento delle concentrazioni del gas.
Cos’è il protossido di azoto
Il protossido di azoto, noto comunemente come gas esilarante o N2O, è un gas incolore dall’odore leggermente dolce composto da due atomi di azoto e uno di ossigeno. E’ stato scoperto dal chimico inglese Joseph Priestley nel 1772. È utilizzato in particolar modo in ambito medico, ad alte concentrazioni produce effetto anestetico. La sua inalazione in piccole quantità provoca invece un breve effetto euforico, da qui il fatto di essere definito “esilarante”.
Allo stesso tempo, il protossido di azoto è un importante gas serra (il terzo, dopo il metano e l’anidride carbonica) per via del fatto che si rivela potente nell’assorbire energia infrarossa. Così come riporta Il Post, rimane nell’atmosfera per circa 114 anni (contro i 12 anni del metano e i 5 anni del biossido di carbonio) prima di essere distrutto da una qualche reazione chimica o essere assorbito da qualcosa sulla Terra. Prima della rivoluzione industriale la maggior parte di tale gas veniva assimilato dai pozzi naturali. Successivamente a questo periodo storico, le sue concentrazioni nell’atmosfera sono gradualmente aumentate. Tanto che la Terra non è stata più in grado di smaltirlo tempestivamente.
Nonostante nell’era industriale il biossido di carbonio si sia reso responsabile di un riscaldamento di circa 10 volte superiore a quello del protossido di azoto, quest’ultimo è più potente. A pari quantità, è in grado di riscaldare l’atmosfera circa 300 volte di più di quanto faccia il carbonio in 100 anni.
Dove troviamo il protossido di azoto?
Oltre che negli studi dentistici, dove viene utilizzato da dentisti e medici in genere per sedare i pazienti che si sottopongono a procedure mediche minori, vi si ricorre in campo alimentare, dove viene sfruttato come additivo. In particolare, si usa come propellente per la panna montata. Lo si usa, infine, anche per migliorare le prestazioni dei motori delle auto.
Il “protossido di azoto” al quale ci riferiamo in questo articolo, ovvero quello che esercita un effetto considerevole sul clima, viene per la maggior parte sprigionato nell’ambito delle attività agricole. Oltre un terzo delle sue emissioni sono dovute all’azione dell’uomo: ci riferiamo all’agricoltura (che prevede l’uso di fertilizzanti sintetici e la coltivazione dei suoli), all’allevamento (le mucche sono responsabili dell’N2O direttamente a partire dal loro letame), alla combustione di carburante, alla gestione delle acque reflue e ai processi industriali.
Per rendere l’idea, l’aumento delle concentrazioni atmosferiche di protossido di azoto negli ultimi 150 anni ha significativamente contribuito alla riduzione dell’ozono stratosferico ed al cambiamento climatico. Se ne stima un tasso di aumento pari al 2% per decennio. E, come emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature del 2020, negli ultimi quarant’anni le sue emissioni sono aumentate del 30%.
Chi produce il protossido di azoto?
Se le emissioni di origine naturale di tale gas serra sono rimaste pressoché stabili negli anni, quelle derivanti dalle attività umane sono cresciute in maniera incontrollata. In particolare, quelle dovute a:
- Agricoltura: uso di fertilizzanti sintetici e organici, gestione del letame, combustione di residui agricoli.
- Industria. In tale ambito, viene generalmente emesso attraverso la combustione di combustibili fossili, ed è un sottoprodotto della produzione di sostanze chimiche quali l’acido nitrico e acido adipico. Il primo diffusamente utilizzato nella produzione di fertilizzanti sintetici commerciali, il secondo in quella di fibre (tra le quali il nylon).
- Combustione del carburante: viene emesso quando i combustibili vengono bruciati, ma la quantità sprigionata dipende dal tipo di combustibile e dalla tecnologia di combustione.
- Acque reflue. Infine, viene generato anche in fase di trattamento delle acque reflue domestiche e di nitrificazione e denitrificazione dell’azoto presente. Nello specifico, il trattamento delle acque reflue crea anche protossido di azoto come sottoprodotto dei processi a fanghi attivi, ai quali si ricorre per velocizzare la decomposizione dei rifiuti.
Quali sono gli ossidi che inquinano?
I più importanti per ciò che concerne l’inquinamento atmosferico sono l’ossido di azoto (NO) e il biossido di azoto (NO2). Il primo è un inquinante primario che si forma generalmente dai processi di combustione ad alta temperatura. Non è molto tossico, al contrario del biossido di azoto. Questo ha un odore forte, pungente e risulta irritante. E la sua pericolosità deriva dal ruolo che svolge nella creazione dello smog fotochimico. E’ alla base della produzione di ozono e acido nitrico, inquinanti secondari.
Entrambi derivano in parte, però, anche da emissioni naturali: è il caso di fulmini, incendi, eruzioni vulcaniche. Anche l’uomo fa naturalmente la sua parte tramite, ad esempio, l’uso di veicoli con motore diesel o benzina e la produzione di calore ed elettricità. Le principali fonti di biossido d’azoto – così come chiarisce il Ministero della Salute – sono rappresentate “da radiatori a cherosene, da stufe e radiatori a gas privi di scarico e dal fumo di tabacco”. Circa il 10% dell’ossido di azoto, una volta immesso in atmosfera, viene trasformato in biossido di azoto per via della radiazione solare.
Quali sono i danni prodotti dagli ossidi di azoto? Causano il rallentamento della fotosintesi nei vegetali e contribuiscono alla formazione delle piogge acide. Con le disastrose conseguenze sugli ecosistemi acquatici e terrestri che comportano.
Quali sono le sostanze che inquinano l’ambiente
Naturalmente fare qui un elenco esaustivo non sarebbe possibile. L’argomento è troppo complesso per risolversi in poche righe. Possiamo però fare un cenno alle sostanze più inquinanti. Oltre il protossido di azoto, fanno parte della categoria dei gas serra anche l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e gli alocarburi come idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoruro di zolfo e trifluoruro di azoto. L’anidride carbonica proviene principalmente dalla combustione di combustibili fossili, produzione di cemento e cambiamenti d’uso del suolo, mentre il metano deriva dalla produzione di carbone, gas naturale, petrolio e pratiche agricole. I gas fluorurati, sintetici e potentemente serra, derivano da varie applicazioni industriali e domestiche. Questi ultimi, pur essendo emessi in quantità minori, hanno un elevato potenziale di riscaldamento globale.
Altre sostanze che contribuiscono all’inquinamento sono biossido di zolfo, ossidi di azoto e biossido di azoto, particolato (sia PM10 sia PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, ozono, arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene. Per queste sostanze l’Unione europea ha diramato delle direttive riguardanti le loro concentrazioni nell’aria oltre le quali si ritiene abbiano un impatto significativo sulla salute e sull’ambiente.
Protossido di azoto, gli effetti sul pianeta
In quanto gas serra, assorbe le radiazioni e intrappola il calore nell’atmosfera contribuendo al riscaldamento climatico. Rimanendo tanto a lungo nell’atmosfera, può essere convertito in ossidi di azoto. Questi ultimi sono in grado di favorire la riduzione dello strato di ozono stratosferico, il nostro indispensabile scudo contro la maggior parte delle radiazioni ultraviolette del Sole, e per questo di esporre la Terra a maggiori radiazioni solari. Il risultato si traduce in danni non solo ai raccolti, ma anche alla salute dell’uomo. Oltre questo aspetto, è la sua longevità a renderlo tanto pericoloso.
Per capire la portata della sua pericolosità si può fare affidamento al GWP (Global Warming Potential), un potenziale di riscaldamento globale che consente di mettere a confronto gli impatti sul riscaldamento globale dei diversi gas serra. Nello specifico, una singola molecola di protossido di azoto ha la capacità di intrappolare la stessa radiazione infrarossa emessa dalla Terra di 300 molecole di biossido di carbonio.
Protossido di azoto, come ridurre le emissioni
Nonostante il suo ruolo sempre più crescente in fatto di riscaldamento globale, fino ad ora ben poco è stato fatto per frenare i suoi effetti. Soprattutto a causa dell’agricoltura. Ma ridurne le emissioni è possibile: si tratta di un piano che deve essere attuato su più fronti. In ambito agricolo, ad esempio, sappiamo che essendo prezioso per migliorare la salute delle piante, l’azoto è presente in molti fertilizzanti commerciali. Ma generalmente solo la metà di quello in essi contenuto riesce a penetrare nel raccolto: il resto finisce per contaminare le falde acquifere o sale nell’atmosfera sotto forma di gas.
Considerato come la maggior parte delle emissioni di N2O derivi dai fertilizzanti azotati, se ne potrebbe ottenere una riduzione diminuendone e rendendone più efficienti le applicazioni. Ad esempio, programmandone l’applicazione nel momento in cui le colture ne hanno effettivamente bisogno. Inoltre, si può ridurre la nitrificazione – e quindi l’emissione di protossido di azoto dai fertilizzanti organici – aggiungendo a tali prodotti inibitori di tale processo.
Essendo un sottoprodotto della combustione del carburante, si potrebbe inoltre ridurre il consumo di quest’ultimo, e non solo nei veicoli a motore. Sempre a tal proposito utile potrebbe risultare l’adozione di convertitori catalitici per ridurre gli inquinanti di scarico delle autovetture. Infine, in ambito industriale, si potrebbe optare per un cambio di carburante (ricordiamo che quello emesso dall’industria deriva principalmente dalla combustione di combustibili fossili).
Un ruolo molto più incisivo di quanto si pensi spetta, però, ai consumatori. Avendo visto come i bovini siano direttamente e indirettamente responsabili di grandi quantità di emissioni di N2O (e come, allo stesso tempo, siano anche una delle maggiori fonti di metano), consumare meno carne e formaggio potrebbe incidere positivamente sulla riduzione delle emissioni.
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