
Un cliente di Esselunga ha sollevato preoccupazioni riguardo alla disponibilità di prodotti importati da Israele presso il supermercato di Segrate, un episodio avvenuto sabato scorso. Tra la frutta esposta, ha notato la presenza di datteri Medjoul, già presenti sugli scaffali prima di Natale, ma con una significativa differenza: ora erano disponibili solo quelli provenienti da Israele, senza alternative da Marocco, Egitto o Tunisia. Inoltre, ha trovato melagrane importate da aree coltivate illegalmente, un cambiamento rispetto alle melagrane spagnole che erano state vendute in passato. A completare la sua esperienza, ha notato anche la presenza di avocado israeliani, alcuni dei quali coltivati in territorio palestinese, ma fortunatamente affiancati da avocado biologici spagnoli, offrendo così una scelta.
Tutti e tre i prodotti, datteri, melagrane e avocado, provengono dalla valle del Giordano in Cisgiordania, un’area che è stata oggetto di controversie legate all’occupazione israeliana. Il cliente ha espresso la sua fermezza nel non acquistare questi articoli provenienti da territori occupati, sottolineando che Esselunga dovrebbe almeno fornire alternative valide. La sua posizione riflette un sentimento crescente tra i consumatori che si oppongono all’acquisto di beni associati a pratiche considerate illegittime.
La questione dei prodotti israeliani nei supermercati
Il dibattito sulla presenza di prodotti israeliani sugli scaffali dei supermercati non riguarda solo Esselunga, ma coinvolge anche altre catene come Iper, Coop e NaturaSì. Queste ultime, in genere, offrono alternative ai prodotti provenienti da Israele, ma non sempre. Alcuni tentano di giustificare la vendita di questi prodotti con argomentazioni che sembrano contraddire la realtà. Ad esempio, Coop ha affermato che i datteri rappresentano “frutto della collaborazione di Coop con i produttori palestinesi e i trasportatori israeliani”, mentre NaturaSì evidenzia che provengono da aziende agricole particolari. Tuttavia, tali affermazioni sono spesso percepite come giustificazioni superficiali, distanti dalla verità dei fatti.
Questa situazione ha portato a una crescente consapevolezza tra i consumatori, che si sentono sempre più motivati a informarsi sull’origine dei prodotti che acquistano. La mancanza di trasparenza in merito alla provenienza dei beni alimentari ha sollevato interrogativi etici, costringendo i supermercati a riconsiderare le loro politiche di approvvigionamento. La responsabilità sociale d’impresa è diventata un tema centrale, con clienti che chiedono un maggiore impegno da parte delle catene nella selezione dei prodotti.
La realtà dell’occupazione in Cisgiordania
Le preoccupazioni espresse dal cliente di Esselunga non sono infondate. Un recente articolo pubblicato su Haaretz, uno dei principali quotidiani israeliani, ha messo in luce la situazione in Cisgiordania, descrivendo come l’occupazione continui a progredire mentre l’attenzione internazionale è rivolta altrove, come nella Striscia di Gaza. L’articolo riporta che negli ultimi tempi ci sono stati sgomberi di residenti e demolizioni di abitazioni, con un numero crescente di palestinesi costretti a lasciare i loro campi profughi. Nonostante le affermazioni di Tel Aviv, che sostiene di non avere un piano per allontanare la popolazione palestinese, le testimonianze raccolte in città come Jenin e Tulkarem raccontano una realtà ben diversa, segnata da violenze e intimidazioni.
Le conseguenze di queste azioni non si limitano solo alla vita quotidiana dei palestinesi, ma influenzano anche le scelte di consumo a livello globale. La crescente consapevolezza riguardo all’occupazione e alle sue implicazioni ha spinto molti a riflettere su quali prodotti acquistare e da dove provengano. La domanda che molti si pongono è: come è possibile continuare a vendere prodotti israeliani in un contesto così complesso e controverso?
Roberto L.