Personalità giuridica per cani e gatti: i problemi
Riconoscimento della personalità giuridica di cani e gatti: le questioni legali e scientifiche aperte da una nuova sensibilità sui diritti degli animali.
Negli ultimi anni si sente sempre più parlare degli animali domestici in termini d’affetto ed emozioni, anziché come un mero fatto di proprietà. La stessa definizione del proprietario, ormai non più il “padrone” di un cane o un gatto, manifesta la nuova ondata di sensibilità nei confronti degli animali. Una rinnovata considerazione dei diritti degli animali che da più parti ha sollevato la necessità di riconoscere la personalità giuridica di cani, gatti e altri esemplari da compagnia. Ma le questioni scientifiche che si sollevano sono molteplici e, ovviamente, tutte di difficile risoluzione.
Con il riconoscimento della personalità giuridica di un cane o di un gatto, una proposta già avanzata in Francia, si vuole riconoscere all’animale la capacità di provare emozioni e la possibilità di semplici pensieri autonomi, tali da garantire dei diritti di salvaguardia che vadano oltre al mero possesso. Un animale a cui questi diritti verranno riconosciuti non potrà essere ad esempio sottoposto a sperimentazione animale, rinchiuso in gabbia dai proprietari o essere vittima di inutili violenze. E le pene per chi commetterà queste azioni diverranno pesantissime, alla stregua di simili delitti commessi sugli umani. Così come sostiene David Grimm, collaboratore di Science e recente autore dell’opera “Citizen Canine: Our Evolving Relationship with Cats and Dogs”, questo passaggio è tutt’altro che facile.
Dal punto di vista legale, almeno negli Stati Uniti, agli animali domestici è già riconosciuta una seppur semplificata forma di personalità giuridica: cani e gatti possono ereditare denaro o, in caso di incidenti, le corti garantiscono dei risarcimenti per danni emotivi. Fatti entrambi che vanno ben oltre al semplice concetto di proprietà, così come succede per gli oggetti. Un evoluzione di questi diritti, però, potrebbe minacciare la ricerca scientifica, soprattutto nei paesi di Common Law: considerato Fido quasi al pari dell’uomo, per l’avvocatura a stelle e strisce non sarebbe difficile dimostrare come gli stessi diritti valgano anche per topi o cavie, bloccando del tutto la ricerca. E un simile riconoscimento darebbe il via libera anche a prese di posizione pubbliche, come class action nei confronti dei laboratori di ricerca – si stima che oltre il 40% della popolazione a stelle e strisce sia contro la sperimentazione animale – che dei veterinari, i quali potrebbero essere accusati per qualsiasi pratica medica condotta sull’animale, compresa l’eutanasia. E, ovviamente, i proprietari potrebbero pretendere che cani e gatti vengano curati all’interno di ospedali pubblici e privati dedicati agli umani, quindi non esattamente attrezzati per le richieste dei quattro zampe.
Che fare, allora, per evitare una situazione di caos giuridico e scientifico, garantendo sia i diritti degli animali che la possibilità di non bloccare la ricerca utile all’uomo o, in alternativa, rendere la professione veterinaria un crimine? Il semplice riconoscimento dell’emozione come fattore d’accesso alla personalità giuridica non è sufficiente a discriminare tra specie diverse, perché virtualmente ogni animale è in grado di provare emozioni, seppur basilari. Serve quindi una nuova categoria intermedia, che riconosca alcuni diritti senza arrivare alla privazione di quelli altrui. È un intento realizzabile? Così spiega Grimm:
Non credo siamo vicini a trasformare gli animali in persone, almeno legalmente, sebbene io sia davvero legato al mio gatto. Ma con il passare del tempo, credo vedremo una riduzione nel definire lo status degli animali come semplice proprietà.