Olio di palma: non fa male secondo l’Istituto Superiore di Sanità
Consumo di olio di palma non è nocivo secondo ISS e Ministero della Salute, qualche dubbio però in merito ai dati sui consumi.
Fonte immagine: Oil Palm fruits with palm oil / Shutterstock
Non desta preoccupazione secondo l’Istituto Superiore di Sanità l’impiego di olio di palma nei prodotti alimentari. Le quantità contenute non risulterebbero nocive per il consumo di adulti e bambini, stando a quanto pubblicato dal Ministero della Salute sul proprio sito ufficiale, pur raccomandando la riduzione dell’assunzione giornaliera di questo ingrediente.
L’olio di palma è considerato ad alto contenuto di grassi saturi, circa il 50% della composizione totale. Secondo le stime sul consumo medio di questo prodotto analizzate dall’ISS risulterebbero di poco al di sopra degli obiettivi ministeriali:
Le stime di assunzione di acidi grassi saturi effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità riportano un consumo nella popolazione generale adulta di circa 27 grammi al giorno, con un contributo dell’olio di palma stimato tra i 2,5 e i 4,7 grammi. Nei bambini di età 3-10 anni, le stime indicano un consumo di acidi grassi saturi tra i 24 e 27 grammi al giorno, con un contributo di saturi da olio di palma tra i 4,4 vs. 7,7 grammi.
Complessivamente emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2%) all’obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 % delle calorie totali giornaliere). Il consumo complessivo di grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni risulta superiore all’obiettivo fisso del 10%.
Le crescenti allerte in merito alla pericolosità per la salute derivanti dal consumo di olio di palma sembrerebbero smentite quindi dal rapporto presentato dall’Istituto Superiore di Sanità. Sui risultati ottenuti dall’ISS grava però l’aver fatto riferimento a dati piuttosto vecchi, come ammette lo stesso Ministero della Salute, ovvero al consumo relativo al biennio 2005-2006. Come riportato sul sito ministeriale:
È da sottolineare che queste stime sono state ottenute utilizzando come riferimento i dati dei consumo degli alimenti in Italia riferiti agli anni 2005-2006 (gli unici disponibili al momento) e che quindi un aggiornamento di questi possa portare a definire diversi livelli di esposizione agli acidi grassi saturi da parte della popolazione italiana.
Negli ultimi dieci anni si è osservato un trend di crescita delle importazioni in Italia di olio di palma a scopo alimentare, trend che sottende lo spostamento dell’industria alimentare dall’uso di margarine e burro, a quello di olio di palma.
Secondo la stessa nota del Ministero della Salute non vi sarebbero evidenze scientifiche che la pericolosità derivata dall’olio di palma possa in qualche modo risultare di per sé superiore a quella di altri oli contenenti grassi. Il rischio deriverebbe semmai, spiega il comunicato ministeriale, dal mancato apporto di grassi polinsaturi:
L’Istituto Superiore di Sanità conclude che non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro. Il minor effetto di altri grassi vegetali, come ad esempio l’olio di girasole, nel modificare l’assetto lipidico plasmatico è dovuto al minor apporto di acidi grassi saturi e al contemporaneo maggior apporto di polinsaturi.
Il suo consumo non è correlato all’aumento di fattori di rischio per malattie cardiovascolari nei soggetti normo-colesterolemici, normopeso, giovani e che assumano contemporaneamente le quantità adeguate di polinsaturi.
Qualche dubbio in merito alle conclusioni tratte dallo studio tuttavia sembra permanere, soprattutto in relazione al fatto che tali risultati appaiono basati su dati iniziali (secondo lo stesso Ministero) non aderenti ai consumi reali. Qualora fossero presi in esame i dati diffusi da AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) e ISTAT (dati 2014), l’esposizione media degli italiani risulterebbe superiore a quella stimata dall’ISS addirittura di 4,5 volte.
Un valore che se confermato significherebbe non soltanto la realtà del pericolo per l’apparato cardiovascolare, ma che tale rischio assumerebbe toni che potrebbero essere definiti allarmanti.