
Nel 2025, il tema dellobesità si rivela di particolare importanza, soprattutto in relazione ai pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Secondo recenti studi, il tasso di obesità in questa popolazione è ben doppio rispetto a quello della popolazione generale. Non si tratta, come spesso si crede, di un effetto diretto delle terapie farmacologiche, ma piuttosto di un legame intrinseco tra i disturbi mentali e le alterazioni dell’appetito, che possono manifestarsi sia con un aumento che con una diminuzione del desiderio di cibo.
Un aspetto preoccupante è che oltre il 50% dei casi di obesità nei pazienti psichiatrici è preceduto da comportamenti di “automedicazione” attraverso il cibo. Questi comportamenti, spesso utilizzati per affrontare il disagio emotivo, possono portare a un aumento dei sintomi depressivi e a sentimenti di colpa, creando un circolo vizioso difficile da spezzare. La Società Italiana di Psichiatria (SIP) ha deciso di mettere in luce questa problematica in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità, che ricorre ogni anno il 4 marzo.
I disturbi psichiatrici e l’obesità
La presidente della SIP, Liliana Dell’Osso, sottolinea l’importanza di approfondire il legame tra obesità e disturbi psichiatrici. “Spesso si tende a pensare che l’aumento di peso sia causato dai farmaci, ma è fondamentale superare questo pregiudizio”, afferma. Secondo Dell’Osso, sebbene alcuni psicofarmaci possano aumentare l’appetito, le attuali terapie sono progettate per limitare questo effetto. Inoltre, è cruciale adottare uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata per contrastare il problema.
Molti disturbi mentali, infatti, si accompagnano a problematiche legate all’appetito, che possono manifestarsi già in forma subclinica. I comportamenti di “emotional eating”, ovvero l’uso del cibo per far fronte a emozioni negative, sono un chiaro indicatore di questa relazione. Dell’Osso evidenzia che è fondamentale riconoscere e affrontare questi segnali precocemente per evitare che si trasformino in problematiche più gravi.
Le emozioni e il comportamento alimentare
Non solo le emozioni negative, ma anche quelle positive possono influenzare il comportamento alimentare. Secondo Dell’Osso, negli Stati Uniti, circa il 38% degli adulti ricorre al cibo per gestire le proprie emozioni, con un 49% che lo fa settimanalmente. I cibi più frequentemente associati a questo comportamento sono quelli ricchi di calorie, ma poveri di nutrienti, che offrono una gratificazione immediata. Questo meccanismo di “automedicazione” attiva i circuiti della ricompensa nel cervello, portando a un temporaneo sollievo dai sentimenti negativi. Tuttavia, questo comportamento può risultare maladattativo, aumentando il disagio emotivo e generando sensi di colpa, creando così un ciclo difficile da interrompere.
Questa modalità di affrontare le emozioni è comune in diversi disturbi psichiatrici, come i disturbi d’ansia e dell’umore, e può anche essere un precursore di disturbi alimentari più gravi. È essenziale per i professionisti della salute mentale riconoscere e trattare queste dinamiche per prevenire conseguenze a lungo termine.
L’impatto dell’alcol sull’obesità
Un altro fattore da considerare è il consumo eccessivo di alcol, che può contribuire all’aumento di peso. Dell’Osso evidenzia che in alcuni casi, il consumo di alcol si associa a tratti autistici, specialmente a difficoltà nel riconoscere e gestire le proprie emozioni. In queste situazioni, il cibo può diventare un rifugio per affrontare stati d’animo negativi, aumentando così il rischio di sovrappeso e obesità.
È particolarmente preoccupante che oltre il 60% dei bambini tra i 5 e i 13 anni ammetta di mangiare in risposta a emozioni. Questo comportamento, se non identificato e gestito tempestivamente, può portare a conseguenze significative nel lungo periodo. La SIP invita quindi a prestare attenzione a questi segnali fin dall’infanzia, per garantire un futuro più sano ai più giovani.