
In Italia, l’uso dei farmaci equivalenti continua a essere un tema di discussione, soprattutto se paragonato ad altri Paesi europei. Secondo i dati emersi dal VII Rapporto sulla Farmacia, presentato da Cittadinanzattiva e Federfarma, solo il 48,7% della popolazione utilizza regolarmente questi farmaci, mentre il 44,6% ne fa uso sporadico. Un 6,7% degli intervistati, invece, ha dichiarato di non utilizzarli affatto. Questa indagine, condotta tra settembre e dicembre 2024, ha coinvolto un campione di 1600 farmacie e 1200 cittadini, ponendo particolare attenzione al consumo di farmaci equivalenti, che mostra ancora una significativa variabilità non solo tra le diverse regioni, ma anche tra le generazioni.
Aumento dell’utilizzo degli equivalenti
Nonostante i numeri ancora contenuti, il rapporto evidenzia un trend positivo: l’utilizzo dei farmaci equivalenti è in crescita, spinto dalla loro convenienza economica e dalla comprovata efficacia. Il 38,5% dei farmacisti ha segnalato un aumento della domanda rispetto al 13,4% registrato nel 2018. Le differenze geografiche sono marcate: nel Centro-Sud, è più comune trovare chi non assume mai farmaci equivalenti, contrariamente al Nord, dove il loro consumo è più diffuso. I dati più preoccupanti riguardano regioni come l’Abruzzo (17,6%), il Lazio (14,7%), il Molise (12,5%), l’Umbria (12%) e la Sardegna (10%).
Le fasce d’età rivelano ulteriori spunti interessanti: i giovani tra i 18 e i 30 anni sono quelli che dichiarano di utilizzare maggiormente questi farmaci, con oltre il 70% di utilizzo abituale. Al contrario, gli over 85 si mostrano i più riluttanti, con un 25% che ammette di non usarli mai. Inoltre, la confusione sulla differenza tra principio attivo e nome commerciale è più diffusa tra le persone di età compresa tra 64 e 74 anni, mentre i più giovani sembrano avere le idee chiare su questo aspetto.
Timori e fiducia nel farmaco equivalente
Un altro aspetto rilevante emerso dal rapporto riguarda i motivi per cui alcuni pazienti si rifiutano di assumere farmaci equivalenti. La principale preoccupazione è quella di non essere certi che questi farmaci siano realmente “equivalenti” (57,9%). Altri fattori includono la necessità di una prescrizione da parte del medico (18,4%) e le differenze nella composizione degli eccipienti (15,8%). Questi timori evidenziano una certa diffidenza nei confronti di un settore che, pur mostrando segni di crescita, deve ancora affrontare sfide significative in termini di percezione pubblica.
Per chi invece decide di optare per i farmaci equivalenti, la fiducia nel farmacista gioca un ruolo cruciale, influenzando il 48,8% delle scelte. Il risparmio è un altro fattore determinante, citato dal 39,7% degli utenti, mentre il 19,7% afferma di scegliere questi farmaci solo se prescritti dal medico. È interessante notare che la motivazione economica è predominante tra i più giovani, mentre per le altre fasce d’età la fiducia nei consigli del farmacista risulta essere il criterio principale.
In sintesi, il panorama dei farmaci equivalenti in Italia sta cambiando, ma la strada verso una maggiore accettazione e comprensione da parte della popolazione è ancora lunga.