Inquinamento: plastica e lavatrici nello Stretto di Messina
Inquinamento, plastica e lavatrici nello Stretto di Messina: è quanto rivela una ricerca condotta con un ROV sui fondali marini.
Fonte immagine: Pixabay
Lo Stretto di Messina è sempre più soffocato dall’inquinamento, tanto che rifiuti in plastica e lavatrici sono stati rinvenuti fino a 500 metri di profondità. È quanto rivela un nuovo studio coordinato dall’Università di Barcellona, in collaborazione con la Sapienza di Roma e l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr.
I ricercatori si sono infatti avvalsi di un ROV, un robot meccanico adatto a scandagliare le profondità marine, rilevando una condizione estremamente preoccupante. Sui fondali dello Stretto di Messina vi è davvero di tutto, con livelli di inquinamento tra i più elevati mai rilevati al mondo.
Inquinamento, lo Stretto di Messina preoccupa
Il ROV impiegato per l’analisi, ribattezzato Pollux III, dispone di diverse telecamere, montate su una struttura metallica dotata di quattro motori. Il dispositivo può raggiungere le profondità marine e, una volta toccato il fondale, può spostarsi nelle quattro direzioni. Il ROV è pilotato da personale su nave, tramite un apposito joystick per permetterne i movimenti.
Purtroppo, il ROV ha confermato la presenza di grandi quantità di rifiuti nelle profondità dello Stretto di Messina, anche fino a 500 metri dalla superficie. Sono stati infatti rilevati scarti in plastica – da cestini a giocattoli – ma anche oggetti metallici, elettrodomestici, materiale per la pesca, abiti, lamiere e molto altro ancora. In un’area di circa 6.5 chilometri di lunghezza sono stati rinvenuti più di 4.000 oggetti, ma si teme che la quantità di rifiuti sia addirittura più alta, poiché non tutta l’area è stata passata al setaccio.
In particolare, i ricercatori si sono concentrati sui canyon sottomarini che caratterizzano questa parte del Mediterraneo, così come spiega il geologo marino Daniele Casalbore:
Abbiamo fatto una serie di passaggi con il Rov focalizzandoci sui canyon sottomarini, i punti in cui pensavamo di trovare più inquinamento. Questa sorta di fiumi subacquei infatti canalizzano la spazzatura che arriva dalla costa. A monte sono collegati con le fiumare, i corsi d’acqua tipici della terra siciliana e calabra che venivano spesso usati come discariche. Le piogge più forti causano inondazioni che raccolgono ciò che c’è nelle fiumare e i canyon collegati trasportano tutto sul fondo come fossero dei nastri trasportatori.
Gli esperti hanno scandagliato solo quattro delle decine di canyon presenti. Va però sottolineato come queste fosse subacquee per loro natura attirino più rifiuti, mentre in altre zone dello Stretto la situazione è migliore e la biodiversità maggiormente conservata. Ma rimangono il problema della contaminazione e i dubbi su come ripulire i fondali:
La biodegradazione è lentissima, a seconda dei materiali ci possono volere dalle decine alle centinaia di anni. Non sappiamo poi quanta microplastica entri nel ciclo vitale. In corrispondenza di questi accumuli abbiamo trovato tanti ricci di mare che pascolano e anche copertoni usati come tane da pesci e polpi.
Fonte: Corriere della Sera