Inquinamento elettromagnetico, antenne
Si parla sempre più spesso di inquinamento elettromagnetico, o di elettrosmog, come conseguenza dell’introduzione di numerose tecnologie di uso molto comune. Dall’energia elettrica ai ponti radio per le telecomunicazioni, negli anni la scienza si è interrogata per capire se l’esposizione a questa fonte invisibile di inquinamento possa avere effetti sulla salute dell’uomo e sull’ambiente. Quali sono, di conseguenza, le cause e le conseguenze di questo fenomeno?
Prima di cominciare, è utile sottolineare come gran parte degli studi sull’inquinamento elettromagnetico siano ancora in corso e, fatto non meno importante, come non sempre a livello scientifico vi sia un pieno accordo sulla questione. Per questa ragione, è necessario rifarsi alle indicazioni sia ministeriali che di enti internazionali come IARC e OMS.
Con il termine inquinamento elettromagnetico si intende la generazione di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici artificiali. In altre parole, si tratta di tutti quei campi che non appartengono al fondo terrestre, come la radiazione solare oppure il campo elettrico generato dai fulmini, bensì di produzione umana.
Il fenomeno dell’inquinamento elettromagnetico – ribattezzato elettrosmog tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo – ha origine nei primi anni del ‘900, con l’arrivo di numerose tecnologie divenute di uso molto comune, a partire dalle reti elettriche. La questione divenne evidente nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando si notarono gli effetti termici dell’esposizione a microonde ad altissima frequenza, scoperta che poi portò allo sviluppo di apparecchiature sia medicali che domestiche pronte a sfruttare queste peculiarità.
Oggi le principali fonti di emissioni di campi elettromagnetici sono rappresentate dalla rete elettrica, dagli elettrodotti, dalle infrastrutture di comunicazione radiotelevisive e cellulari, dagli elettrodomestici e dalle micro-reti domestiche senza fili per il collegamento a Internet. Come facile intuire, tutte queste tecnologie sono sottoposte a limiti di emissioni stabilite per legge, affinché non risultino dannose per l’uomo o per l’ambiente, sulla base degli studi scientifici fino a oggi condotti.
Prima di discutere dei possibili effetti dell’inquinamento elettromagnetico sulla salute e sull’ambiente, è necessario apprendere le principali tipologie di campi elettromagnetici. Un campo elettromagnetico è caratterizzato da tre parametri – intensità, lunghezza d’onda e frequenza, quest’ultima corrispondente al numero di oscillazioni che l’onda elettromagnetica compie in un secondo, misurata in Hertz – e la sua intensità diminuisce più ci si allontana dalla sorgente che lo genera.
In base alla frequenza, si catalogano i campi elettromagnetici in tre grandi gruppi:
Questi campi elettromagnetici ricadono all’interno delle cosiddette radiazioni non ionizzanti, ovvero delle radiazioni elettromagnetiche che, per loro intensità, non sono in grado di trasportare sufficiente energia da ionizzare atomi o molecole.
Come si è già accennato, per inquinamento elettromagnetico si intendono tutti quei campi elettromagnetici che non derivano dal fondo terrestre, bensì sono antropici, ovvero di produzione umana. Entrando nel dettaglio delle cause, quindi delle sorgenti di emissione, si possono elencare diverse fonti. Queste ultime, come facile intuire, prevedono delle intensità fra di loro diverse e l’esposizione varia a seconda della distanza dalla fonte di emissione:
Da tempo si studiano i possibili effetti dell’elettrosmog sull’ambiente, anche se al momento sembra mancare un preciso accordo a livello scientifico, anche per la presenza di studi fra di loro dal tenore opposto. In linea generale, si possono individuare due diverse tipologie di conseguenze:
Sulle possibili conseguenze sulla salute dell’inquinamento elettromagnetico si discute ormai da decenni, tanto che il dibattito rimane molto acceso tra chi sostiene che l’esposizione possa essere molto pericolosa e chi, invece, ritiene non vi siano sufficienti evidenze scientifiche per sollevare allarmi.
In linea generale, così come spiega la Fondazione Veronesi, si sono notati due principali effetti dovuta all’esposizione ai campi elettromagnetici:
Alcuni studi indipendenti, inoltre, hanno evidenziato una possibile associazione tra l’uso continuativo delle prime generazioni di telefoni cellulari e due tumori – il glioma e il neurinoma del nervo acustico – ma, come sempre spiega la Fondazione Veronesi, l’aumento del rischio sarebbe limitato.
Basandosi sulle ricerche prodotte negli ultimi anni, l’Associazione Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito sia i campi a radiofrequenza che quelli a bassa frequenza nel Gruppo 2B dei possibili cancerogeni per l’uomo. L’OMS, relativamente all’esposizione ai campi dovuti alle comunicazioni cellulari, ha invece dichiarato che “ad oggi, nessun effetto dannoso per la salute è stato riconosciuto come causato dall’uso di telefoni mobili“.
In Italia i valori massimi di esposizione ai campi elettromagnetici sono definiti dalla Legge Quadro 36/01, caratterizzata da un approccio cautelativo, con soglie più rigide rispetto ad altri Paesi Europei. La normativa prevede un valore di attenzione – cioè il tetto massimo di esposizione nei luoghi ad alta permanenza, non inferiore alle 4 ore giornaliere – di 6 V/m. Da qualche anno alcuni gruppi avanzano l’ipotesi di innalzare queste soglie fino a 61 V/m, per facilitare l’implementazione delle ultime tecnologie di comunicazione cellulare, proposta che sta però ricevendo l’opposizione di diversi gruppi ambientalisti.
Il rispetto dei limiti di esposizione vengono regolarmente verificati dalle ARPA regionali, con appositi apparecchi, in particolare per quelle aree e abitazioni che sorgono in prossimità di grandi impianti elettrici o ripetitori televisivi e radiomobili.
In attesa di comprendere come evolverà la situazione normativa, vi sono alcune misure di buon senso che possono aiutare a ridurre l’esposizione personale, in via cautelativa per limitare eventuali rischi. In generale, si consiglia di:
Fonti: