Inquinamento acustico: danneggia gli oceani
L'inquinamento acustico dovuto all'uomo sta danneggiando gli oceani, sia disorientando gli animali che alterando la vegetazione marina.
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Anche l’inquinamento acustico danneggia l’ambiente, soprattutto nell’oscura profondità degli oceani. È questo il preoccupante risultato che emerge da uno nuovo studio pubblicato sulla rivista Science, condotto dalla King Abdullah University of Science and Technology dell’Arabia Saudita. I rumori provocati dalle attività umane stanno infatti avendo conseguenze importanti sulla biodiversità, alterando i normali cicli sia dei vegetali che degli animali marini.
Date le evidenze raccolte, i ricercatori hanno quindi richiesto che le politiche di riduzione dell’inquinamento acustico vengano presto incluse nelle misure più ampie di tutela dell’ambiente, poiché anche il rumore può contribuire ai cambiamenti climatici.
Inquinamento acustico e oceani
Per quanto attutiti e modificati rispetto alla zone emerse del Pianeta, i suoni raggiungono anche le profondità oceaniche. Normalmente, gli esseri viventi marini sono abituati a un certo livello di rumore, dovuto sia al ritmo delle correnti oceaniche che dai richiami tipici di alcune specie. Basti pensare alle balene e altri cetacei che, producendo delle frequenze ben definite, riescono a comunicare anche a chilometri di distanza.
Eppure, negli ultimi decenni l’uomo ha alterato il suono degli oceani, introducendo numerosi elementi di disturbo che stanno avendo effetti sulla biodiversità marina. I ricercatori hanno infatti analizzato più di 500 paper pubblicati sul fenomeno, raccogliendo anche dati sui livelli di rumore anomalo rilevato in mare nel corso degli ultimi anni. Ne sono emerse due principali fonti di inquinamento sonoro: una diretta, dovuto alle attività umane, e una indiretta ma sempre legata all’uomo.
Nel primo gruppo rientrano tutte quelle attività che vengono condotte al largo, come la trivellazione dei fondali per l’estrazione di greggio o gas naturale, le tratte commerciali e turistiche con grandi navi, la pesca e molto altro ancora. Nell’insieme delle cause indirette, invece, si trovano tutti quei fenomeni rumorosi non generati dall’uomo, ma conseguenza del suo comportamento. Il crollo di grandi blocchi di ghiaccio dovuti al surriscaldamento del clima, l’intensificazione dell’attività sismica sottomarina in relazione all’estrazione di carburanti fossili e via dicendo.
Il più grave effetto si verifica sul comportamento delle più svariate specie animali. Delfini, balene e altri cetacei perdono più facilmente il loro orientamento, poiché i suoni che emettono vengono disturbati da altri rumori sulle medesime frequenze. A questi si aggiungono tutti quegli animali che sfruttano sempre il suono per orientarsi o, ancora, la cui sopravvivenza dipende da altre specie marine: fra i tanti, si elencano tartarughe, uccelli marini, foche e trichechi e lamantini.
Il rumore in eccesso ha poi conseguenze anche sulla vegetazione oceanica, essenziale per la sussistenza di numerose specie animali. Poiché i suoni anomali disorientano molte specie, in molte aree oceaniche è diminuita la presenza di esemplari che si nutrono di alghe e altre piante, animali che indirettamente si occupano della regolazione della crescita sui fondali. Così, in assenza di un controllo, alcune specie vegetali endemiche e invasive stanno prendendo il sopravvento su altre più rare, riducendo la biodiversità delle acque.
Carlos Duarte, scienziato marino e principale autore dello studio, ha così spiegato:
Si tratta di un problema cronico che certamente indebolisce gli animali, dai singoli individui a intere popolazioni. È un problema che sta diventando sempre più esteso, su scala globale. Serve quindi una riduzione del rumore prodotto dall’uomo, da attuare con una cooperazione fra tutti i governi.
Fonte: VOA