Qual è l’impatto ambientale della guerra
La guerra non ha un impatto diretto solo sugli esseri umani, ma anche sull'ambiente e sulla fauna locale. Se leggessimo i dati che riguardano i conflitti bellici, noteremmo come il concetto di terra bruciata sia meno figurato di quanto non si pensi. E questo ci dovrebbe fare riflettere su quanto le guerre possano essere distruttive sul pianeta, anche a distanza di anni dal termine.
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“La saggezza non sta nel distruggere gli idoli, ma nel non crearne mai”, scriveva Umberto Eco. E non me ne vogliano i puristi della contestualizzazione dei concetti, ma questa frase, a modesto giudizio di chi scrive, calza a pennello al tema della guerra e del suo impatto sociale, umano e ambientale. Non solo quella tra Russia e Ucraina, ma tutte le guerre.
Il concetto di conflitto bellico è un insieme di idolatrie. Mi spiego. Si parte dall’idolo massimo dell’avere ragione, si passa a quello del fare giustizia, sempre dando per scontato il punto uno, si arriva ad un machiavellico riassunto delle proprie azioni, per le quali il fine giustifica i mezzi. E ci si erge a Dio, stabilendo chi vive e chi muore, cosa va conservato e cosa, invece, va raso al suolo.
C’è un diabolico gioco delle parti in ogni guerra, da quelle di conquista, passando per quelle di religione, arrivando a quelle civili. Nel mezzo, nelle intercapedini tra le une e le altre, nuovi mondi e generazioni di “buoni motivi” per imbracciare i fucili e aprire la vetrinetta delle grandi occasioni che ogni nazione possiede. Qui troviamo gli arsenali bellici più evoluti, lo scacco psicologico che dovrebbe scoraggiare i nemici, già prima di essere mosso.
Ma se la battaglia emotiva fallisce, missili, bombe, carri armati e fuoco incrociato, diventano reali e questo porta a conseguenze disastrose ad ogni livello. La popolazione locale falcidiata, le città distrutte, le emergenze sanitarie ingestibili, le economie locali in ginocchio, ma anche i danni al pianeta e all’ambiente. Un dettaglio non trascurabile, che porta a problemi gravi per natura e salute umana a distanza di anni dalla fine delle ostilità militari.
L’impatto ambientale della guerra
Lo sapevate che la distruzione ambientale è spesso calcolata come tattica militare ben precisa? Ne è un esempio la guerra in Vietnam, negli anni Settanta del secolo scorso, durante la quale l’esercito americano spruzzò erbicidi chimici su ampie zone di boscaglia, per ridurre le coperture naturali del nemico.
Ma anche se il danno non è programmato come nel caso precedente, lo scavo di trincee, le bombe che distruggono paesaggi urbani e foreste, la dispersione di gas tossici e il rilascio di sostanze nocive nell’aria, nell’acqua e nel terreno, sono elementi degni di nota. La flora e la fauna locali insidiate e annullate sono infatti un costo da considerare, alla fine di ogni guerra.
E il problema non è solo a breve termine, anche perché madre natura è bravissima a riprendersi quello che le è stato tolto, con i suoi tempi. Ma nel lungo periodo, anche se la vegetazione rinasce, anche se gli animali tornano nel proprio habitat ricostituito, il suolo è ancora marcio nel profondo. E le fioriture nascondono un velenoso segreto.
Ad Ypres, in Belgio, una commissione medica nel 2011 ha effettuato un’analisi del terreno, per scoprire che i livelli di piombo e rame, metalli pesanti dispersi durante la prima guerra mondiale, erano ancora elevati. Se ci spostiamo ad Hiroshima e Nagasaki, scenari di bomba nucleare del secondo conflitto bellico globale, ancora si fanno i conti con i danni.
Le bombe Little Boy e Fat Man, in queste aree del Giappone, hanno svolto un lavoro di brutali distruttori, ma anche di ladri silenziosi di biodiversità: la natura è stata brava a risorgere, come una fenice dalle sue ceneri. Ma in questo caso è rinata impoverita. E dove è rinata, lo ha fatto con alterazioni del DNA nei geni di piante e animali.
La guerra in Ucraina: il timore di una seconda Chernobyl
L’Ucraina è considerata uno scrigno di biodiversità del vecchio continente, in quanto nel suo territorio sono presenti 70mila specie, tra flora e fauna, ritenute rare ed endemiche. In più, il 16% del territorio è coperto da foreste. E, sebbene gli indicatori ambientali di suolo, aria e acqua locali mostrassero il Paese in condizioni non ottimali già prima dello scoppio della guerra, è naturale pensare che il conflitto stia peggiorando a vista d’occhio la situazione.
Si calcola, inoltre, che il primo giorno dell’invasione russa, nel febbraio 2022, la radiazione gamma nella zona di Chernobyl, a Nord di Kiev, sia stata pari a 28 volte il limite annuale. Un risultato dovuto agli spostamenti dei mezzi pesanti. E se consideriamo che in Ucraina sono presenti 15 reattori nucleari sparsi sul territorio, capiamo quanto sia concreto il terrore di un disastro simile a quello del 1986.
Va anche ricordato che la regione del Donbass è piena di miniere di carbone in disuso, che andrebbero manutenute per evitare la contaminazione di mercurio, piombo e arsenico nell’acqua utile alle irrigazioni. Ma la guerra sta limitando le operazioni regolari di manutenzione, con le conseguenze che possiamo immaginare.
Il punto della situazione: guerra e ambiente
Il Conflict and Environmental Observatory stima che gli eserciti siano responsabili del 5,5% di tutte le emissioni dei gas serra a livello mondiale. Non si parla di guerra, ma solo di addestramento, basi, test e strutture. Si ritiene, inoltre, che le terre militari coprano tra l’1 e il 6% della superficie terrestre globale.
L’addestramento militare crea emissioni, alterazione del paesaggio, degli habitat terrestri e marini e crea inquinamento chimico e acustico, derivante dall’uso di armi, aerei e mezzi pesanti. Ma in tempo di guerra, l’impatto ambientale cambia e alcuni conflitti, da quelli civili e locali, fino a quelli internazionali, possono causare danni incalcolabili.
I conflitti ad alta intensità, come quello in Ucraina, richiedono grandi quantità di carburante, portando a massicce emissioni di CO2 e contribuendo al cambiamento climatico. I movimenti di veicoli su larga scala possono causare danni fisici diffusi a paesaggi e geodiversità, così come l’uso intensivo di ordigni esplosivi.
L’uso di queste armi nelle aree urbane crea immani quantità di detriti e macerie, causa di inquinamento dell’aria e del suolo. Ma l’inquinamento può essere causato anche in modo indiretto, da danni all’industria leggera e alle infrastrutture sensibili dal punto di vista ambientale, come gli impianti di trattamento delle acque.
Le guerre incendiano le aree verdi, ne alterano le caratteristiche, inquinano il suolo, l’aria e l’acqua, distruggono cose, animali, vite umane. E nel lungo periodo, anche dopo il cessate il fuoco, i danni più profondi si ripercuotono sulla salute dell’ambiente e di chi lo abita. Anche a generazioni ed anni di distanza.
Non è questo il tempo e il luogo per entrare nel merito delle scelte fatte nelle stanze dei bottoni. Chi muove guerra non ha la mia simpatia, ne ha di più chi si muove per sedare gli animi con la diplomazia. E se è vero, come diceva Bernardo di Chartres, che siamo nani sulle spalle dei giganti, il passato dovrebbe essere un faro luminoso per evitare di commettere gli stessi errori degli antenati.
Ma qui non facciamo propaganda, non ci mettiamo dinanzi ai carri armati come lo studente di piazza Tienanmen, però analizziamo i dati, la storia, le conseguenze. E questo ci permette di fare i conti della serva, con i numeri alla mano, poco romantici ma infinitamente razionali. Il risultato è che le guerre hanno un costo non solo a livello di anime e di economie, ma anche di territori annichiliti fino a data indeterminata.
Mi viene in mente Italo Calvino, quando in un suo celebre romanzo scrive: “E senza gli uni, gli altri non sarebbero nulla e ormai sia noi che loro abbiamo dimenticato perché combattiamo…”. Muto Carlo Magno, muti i Mori, muto anche il Cavaliere Inesistente. E, in chiusura, muta anche io.
Fonti