Il latte fa bene o fa male? Risponde la dietista
Bere latte da adulti non è sconsigliato, soprattutto se non si è intolleranti al lattosio. Per fare in modo che non comporti problemi, basta scegliere la giusta qualità di latte e berlo nelle dosi consigliate. Abbiamo chiesto di spiegarci la questione alla dottoressa Lavaselli, dietista del MioDottore.
Il latte fa bene o fa male? In merito a questa domanda, sentiamo spesso risposte contrastanti: c’è chi dice che bere latte da adulti fa male, chi invece sostiene che il latte non solo non fa male, ma addirittura è un toccasana per la nostra salute. Ma qual è la verità? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Lavaselli, dietista del MioDottore.
Proprietà del latte
Nell’alimentazione possono essere usati diversi tipi di latte (capra, pecora, asina), ma generalmente nel linguaggio comune ci si riferisce a quello di mucca. Il mercato offre una grande varietà di tipi di latte vaccino variamente trattato, come ad esempio il delattosato ad
alta digeribilità, per soddisfare il gusto e le esigenze specifiche delle diverse fasce di consumatori.
Il calcio contenuto in 100 gr di latte vaccino è pari a 125 mg, i grassi sono 3,5 gr/100 ml di prodotto e le proteine circa 3,2 gr/100 ml ripartite tra caseina per l’80% e sieroproproteine per il 20%. Il profilo amminoacidico del latte comprende tutti gli amminoacidi essenziali (non riproducibili da altri substrati nutrizionali), quindi a elevatissima qualità biologica e indispensabili per la salute.
Questi contribuiscono al mantenimento della massa muscolare e al buon funzionamento del sistema immunitario, oltre che a rendere il calcio biodisponibile a opera della serina (amminoacido che lega il calcio formando complessi rendendolo assorbibile e depositabile nelle ossa).
Il latte fa male agli adulti?
L’unica controindicazione negli adulti è l’intolleranza allo zucchero presente nel latte, ossia il lattosio, e la sua digestione, che avviene a livello dell’orletto a spazzola della mucosa intestinale, a opera dell’enzima lattasi – florizin – idrolasi (LCT) che rompe i legami beta glicosidici.
L’espressione del gene lattasi (LCT) diventa inutile dopo lo svezzamento, ma muta nella sua azione regolatrice con l’età adulta e si è dimostrata vantaggiosa in termini evolutivi nella specie umana. Però, la possibilità di idrolizzare (rompere) il lattosio e assorbirlo è anche
legata ad altri fattori, quali la presenza di altri geni, meno studiati, che modulano l’espressione del gene LCT.
Inoltre, la possibile presenza di un mosaicismo fa sì che nello stesso soggetto adulto alcuni enterociti intestinali continuino a produrre lattassi e altri no.
Nei Paesi del bacino mediterraneo un deficit di lattasi parziale o totale è presente in età adulta nel 50/65% dei soggetti sani. In questi soggetti il lattosio ingerito con la dieta non viene scisso in glucosio e galattosio e non è assorbito nell’intestino tenue. Quindi, una volta
raggiunto il colon, il lattosio, come ogni altro carboidrato non assorbito, rappresenta un efficace substrato per la fermentazione batterica della flora residente.
Ciò comporta prodotti finali del metabolismo batterico, in particolare gas e acidi grassi a catena corta (SCFA). I sintomi del malessere si traducono in meteorismo e diarrea, associati spesso anche a dolore colico. Se l’incapacità di idrolizzare il lattosio ne determina il malassorbimento, ciò non si associa sempre ai disturbi.
Come diagnosticare l’intolleranza al lattosio?
Il termine di intolleranza al lattosio deve essere riservato ai soli casi in cui il malassorbimento dello zucchero provoca sintomi addominali. Per la diagnosi di malassorbimento o di intolleranza al lattosio, il test di maggiore utilità clinica è il Breath Test, che misura la produzione di idrogeno e metano dopo un carico orale di 20/25 gr di lattosio. Tale esame consente di documentare un malassorbimento da lattosio con una specificità del 96,5%, ma anche di verificare l’eventuale presenza di sintomi e porre dunque diagnosi di intolleranza.
Fattori da tenere in considerazione
I fattori che entrano in gioco nel far sì che il malassorbimento dello zucchero provochi disturbi clinici sono molteplici. Quello con maggior rilevanza è determinato dalla quantità di lattosio ingerita. È ben documentato che un carico di 50 gr di lattosio corrisponde a circa un litro di latte e determina sintomi in due terzi dei malassorbimenti, mentre la percentuale si riduce enormemente con la riduzione del carico di lattosio.
Il secondo fattore è dato dalla rapidità con cui il carico di lattosio arriva alla mucosa intestinale (intestino tenue) ed entra in contatto con la flora del colon. In caso di malassorbimento parziale, l’intestino tenue è in grado di idrolizzare una certa quantità di lattosio in un determinato tempo, ma non di più. Inoltre, se si assume latte, e quindi lattosio, da solo o nell’ambito di un pasto, si ha un differente grado di assorbimento e quindi un diverso impatto nel provocare sintomi più o meno importanti.
Il terzo fattore, non di minore importanza, è il paziente che ha la percezione di un identico stimolo potenzialmente nocivo e varia da individuo a individuo. È noto che individui con sindrome del colon irritabile abbiano soglie di percezione molto più basse rispetto a soggetti che non ne soffrono.
È largamente diffusa la convinzione che latte e alimenti contenenti lattosio siano responsabili di meteorismo e diarrea e non è raro che
soggetti con questa convinzione manifestino sintomi dopo l’assunzione di quantità anche minime di lattosio, a prescindere dal fatto che siano o meno in grado di assorbirlo. La non documentata convinzione di essere intolleranti al lattosio comporta molto spesso una limitazione dell’assunzione di latte e derivati, che rappresentano la principale fonte dietetica di calcio, e aumenta il rischio di osteopenia e osteoporosi.
Quante volte al giorno e a settimana andrebbe assunto il latte?
Secondo le linee guida, non più di 2 porzioni al giorno tra latte e latticini derivati, preferibilmente a basso contenuto di grassi (latte magro parzialmente scremato, formaggi freschi, yogurt parzialmente scremato).
Ci sono delle tipologie di latte che sono maggiormente digeribili per gli adulti?
Per i soggetti intolleranti si consiglia latte delattosato o a bassissimo contenuto di lattosio (nell’ordine dei 5 gr/die) o latte vegetale, come quello di avena, mandorla, soia o riso, che sono totalmente privi di lattosio.