Il cloud computing inquina: Greenpeace attacca Apple e Microsoft
La diffusione del cloud computing non sempre corrisponde al progresso in fatto di energia pulita. Greenpeace ha analizzato le politiche di 14 aziende IT.
In questi ultimi tempi si fa un gran parlare di cloud computing o “nuvola informatica”, se si preferisce la versione italianizzata, cioè quell’insieme di tecnologie che consente la gestione, la modifica e l’archiviazione dei dati su infrastrutture remote gestite dai provider e accessibili tramite Internet.
Si tratta di un modo nuovo di intendere la componente informatica a livello aziendale, che sembra aver convinto numerose imprese a tentare questa nuova strada con risparmi di denaro e di risorse visto che viene eliminata del tutto la parte relativa alla gestione delle infrastrutture hardware e software. Apparentemente sembra quindi un buon affare e un fattore di progresso, anche se c’è chi, come Greenpeace, ha provato a valutare un altro aspetto, forse il meno conosciuto, del cloud computing, cioè l’impatto ambientale che queste nuove tecnologie hanno.
L’associazione ambientalista ha quindi pubblicato il rapporto “How Clean is Your Cloud?” (Nuvola digitale. Quanto è pulita?), che si propone di analizzare le scelte energetiche di 14 delle principali compagnie IT del mondo, per capire se e quanto la crescente domanda di servizi sulla nuvola incide sulla domanda di energia elettrica derivante da fonti energetiche inquinanti e pericolose come il carbone e il nucleare.
Dal rapporto di Greenpeace emerge un affresco che vede risultati contrastanti tra i grandi nomi dell’industria informatica. Se, ad esempio, gruppi come Google, Yahoo e Facebook escono promossi in ragione dell’impiego di energie pulite per alimentare i propri data center, ci sono altri grossi nomi, come Microsoft, Apple e Amazon, che finiscono invece tra i bocciati per via dell’uso di elettricità prodotta da fonti come il carbone e l’atomo.
In totale sono più di 80 i centri dati presi in considerazione da Greenpeace e appartenenti alle 14 più grosse società IT, alcune delle quale mettono in mostra una strategia aziendale che appare non del tutto approvabile, come spiegato da Salvatore Barbera della campagna Energia e Clima di Greenpeace:
Quando condividiamo musica o foto usando il cloud computing vogliamo essere certi che la nuvola digitale sia alimentata con energia pulita e sicura. Eppure, compagnie IT innovative come Apple, Amazon e Microsoft stanno costruendo data center che utilizzano il carbone e il nucleare e si comportano come se tutto ciò non interessasse ai loro clienti. Ma si sbagliano.
Un atteggiamento che stona non poco con l’aura di progresso ed efficienza che si è creata attorno al cloud computing, ormai ogni giorno utilizzato da milioni di utenti per condividere musica, immagini, documenti e quant’altro su Internet. Continua a tale riguardo Barbera:
Alcune compagnie come Google, Yahoo! e Facebook stanno cominciando a guidare il settore sulla strada delle energie pulite, ma la maggioranza delle imprese continua a ignorare il problema. Visti gli enormi consumi in rapida crescita è necessario che tutti utilizzino energia pulita.
Greenpeace fa notare come il problema delle fonti energetiche impiegate per alimentare i grossi centri dati è di primaria importanza e non è affatto secondario nelle valutazioni dei clienti. Secondo alcune stime effettuate dall’associazione, infatti, le migliaia di server su cui sono immagazzinati i dati negli edifici che ospitano queste infrastrutture richiedono un enorme quantitativo di elettricità, tanto che alcuni data center arrivano a consumare quanto 250.000 case di privati cittadini europei.
La domanda energetica derivante da tutti i servizi di nuvola digitale messi insieme è la quinta al mondo, superando di conseguenza il fabbisogno energetico di interi stati, per una situazione che, secondo le previsioni, triplicherà entro il 2020.
Per questo motivo Greenpeace ha rivolto un appello alle grandi compagnie informatiche affinché applichino procedure più trasparenti per quanto riguarda le fonti di energia, con l’aggiunta di scelte che mirino alla costruzione di centri dati nelle zone in cui è possibile un approvvigionamento energetico pulito e derivante da fonti rinnovabili e sicure.