Estrazioni di gas e terremoti, uno studio smentisce correlazione
Estrazioni di gas e terremoti. Uno studio smentisce ci sia una correlazione, e anche James Lovelock si schiera a favore del fracking, ma non è il solo.
Nelle ultime settimane l’Italia è venuta a conoscenza, con qualche anno di ritardo rispetto agli Stati Uniti, della questione shale gas e fracking. O hydraulic fracturing, che dir si voglia. L’argomento è uscito fuori in correlazione con il sisma in Emilia Romagna, dando origine a quella che in molti hanno definito una “bufala del web”. Con il termine bufala giustificato dal fatto che, dicono, non ci sono studi che dimostrano la correlazione tra fracking e terremoti e, per di più, il fracking non sarebbe mai stato fatto in Italia.
A dire il vero gli studi non mancano, anche se al momento dimostrano solo una correlazione tra fracking e sismi di bassa magnitudo, e la tecnica è stata già usata in Italia. Seppur a Ribolla, in Toscana, e non in Emilia Romagna. In ogni caso una cosa sola è certa al momento: in Italia non vi è alcuna legge che regoli l’utilizzo del fracking nelle esplorazioni ed estrazioni di petrolio.
All’estero, negli Stati Uniti, l’argomento fracking è a dir poco bollente. Qualche mese fa il presidente Barack Obama ha deciso di creare una apposita “interagenzia per il fracking”, ma molti pensano che non sia altro che una copertura per permettere alle grandi compagnie petrolifere di farsi da sole le leggi. Sempre in USA, la settimana scorsa, ha fatto molto discutere la presa di posizione in favore del fracking di James Lovelock, noto scienziato inglese autore della teoria di Gaia. Quella che vede la terra come un unico grande organismo.
Secondo Lovelock l’Inghilterra dovrebbe accelerare la produzione di shale gas, anche con la tecnica del fracking:
Il gas è quasi regalato in USA al momento. Si sono messi sotto con il fracking alla grande. Siamo pragmatici e assennati: facciamo in modo che l’Inghilterra si converta al metano. Dovremmo andare pazzi per il gas.
Le parole di Lovelock, già noto per il suo amore per il nucleare e odio per le rinnovabili (eolico in testa, per questioni estetiche), hanno fatto infuriare ambientalisti e verdi di varia sfumatura in Inghilterra. Ma non è il solo a credere nella nuova era gas non convenzionale. Negli Stati Uniti gli fa eco un post di Erika Johnsen su Hot Air, noto blog conservatore che sta tirando sul web la volata a Mitt Romney in campagna elettorale. Scrive la Johnsen:
Tra gli argomenti degli ambientalisti contro il gas naturale c’è il fatto che il fracking causerebbe molti guai, dalla contaminazione delle falde acquifere alla generazione dei terremoti. Bene, la storia della contaminazione delle falde si è rivelata una bufala e ora c’è un nuovo studio che dimostra prudentemente che, al momento, il fracking non causa tremori della crosta terrestre dall’esito orribile per l’uomo
Come vedete, quindi, gli argomenti in difesa dello shale gas e del fracking sono gli stessi su entrambe le sponde dell’Atlantico: è sicuro, è economico, può essere la prossima rivoluzione energetica. Pari pari gli stessi temi utilizzati da Leonardo Maugeri, in un videomessaggio proiettato l’altro ieri durante il Festival dell’Energia di Perugia. Maugeri è professore ad Harward.
In passato, per ben dieci anni, è stato direttore del settore Strategie e Sviluppo di ENI, nonché presidente di Polimeri Europa (cioè la società alla quale fanno capo le raffinerie del cane a sei zampe). Maugeri ha anche pubblicato due libri: “Petrolio” (2011) e “Con tutta l’energia possibile (2008). Altri testi importanti in inglese, poi tradotti in varie lingue.
L’ex dirigente ENI al Festival dell’Energia ha ribadito la sua tesi secondo la quale la teoria del picco del petrolio sarebbe sbagliata. Lo dimostrerebbe il fatto che di qui al 2020, secondo i suoi calcoli, l’offerta di petrolio crescerà più della domanda:
Calcolando tutti i fattori possibili il mio studio dice che, entro il 2020, noi avremo 17 milioni di barili al giorno in più di capacità netta. Contro una domanda che, a mio avviso, non terrà il passo di questa crescita dell’offerta. Ne consegue che, in qualche momento in questo decennio da qua al 2020, potremmo anche sperimentare un collasso dei prezzi del petrolio.
Maugeri, che il mercato del petrolio lo conosce bene, ripropone una formula di marketing molto vecchia ma sempre efficace nei confronti del consumatore sprovveduto: lasciateci lavorare e il prezzo della benzina scenderà. Nel fare questo smentisce le ipotesi dei teorici del picco del petrolio e del gas.
O almeno questo vorrebbe far credere allo stesso consumatore sprovveduto che, certamente, avrà sentito parlare del fatto che “il petrolio sta finendo” ma, difficilmente, sa che l’opera divulgativa più importante tra quelle dei teorici del picco non si chiama “il petrolio sta finendo” ma “The End Of Cheap Oil” (Colin J. Campbell e Jean H. Laherrere, Scientific American, 1998). Cioè la fine del petrolio a basso prezzo.
Quello che i “picchisti” dicono da anni, infatti, non è che il petrolio sta per finire ma che sta per esaurirsi quello a basso prezzo. Prezzo per il portafogli, per l’ambiente e per il clima. Esiste infatti tutta una enorme categoria di petrolio (e gas) non convenzionale che non rientra nella previsione del picco, al contrario: proprio quei teorici, in tempi non sospetti, dissero che a breve sarebbe finito il petrolio convenzionale e sarebbe partita la corsa a quello non convenzionale. Cioè lo shale oil (e il suo gemello shale gas), le sabbie bituminose del Canada, il petrolio pesante del sud America.
E Maugeri, che vorrebbe a suo modo smentire le teorie del picco, le conferma in pieno:
Lo sforzo che c’è in atto ormai da diversi anni nella esplorazione e produzione del petrolio deriva da un fattore economico: i prezzi del greggio così alti hanno spinto tutti a fare esplorazione e a sviluppare giacimenti che magari un tempo non erano convenienti da sviluppare.
È il caso per esempio della rivoluzione dello shale oil, qua negli Stati Uniti, che renderà probabilmente gli Stati Uniti il secondo produttore al mondo entro il 2020, dopo l’Arabia Saudita.
O il caso dello sviluppo impressionante del greggio derivante dalle sabbie bituminose del Canada. Con prezzi del petrolio molto più bassi questi sviluppi non sarebbero stati possibili. Nel mondo dell’energia quello che guida le scelte dell’industria sono sempre fattori economici. […] Negli ultimi tre anni ci sono stati gli investimenti più alti nella storia dell’industria petrolifera: stimo oltre un trilione e mezzo di dollari.
Nel periodo 2010-12, quindi, a detta di Maugeri l’industria petrolifera ha speso 1.500 miliardi di dollari per riuscire a sviluppare il petrolio e il gas non convenzionali, soprattutto shale oil e shale gas. La domanda da un milione di dollari a cui Maugeri non risponde è però un’altra: se di petrolio classico, convenzionale, facile ed economico da estrarre senza spappolare il sottosuolo ce n’è ancora tanto per quale motivo si spende un trilione e mezzo di dollari per trovare e tirare fuori proprio il petrolio più difficile e costoso da coltivare?
Sarà mica che le teorie del picco, quelle vere e non quelle che riportano storpiandole i tecnici della grande industria petrolifera, non erano poi così sbagliate? E cosa sono esattamente, poi, questi idrocarburi non convenzionali? Lo spiega sempre Maugeri:
Le formazioni cosiddette “shale” sono formazioni in sostanza di scisti, in cui la composizione delle rocce che contengono gas o petrolio dovrebbe impedire in linea teorica alle molecole di petrolio o di gas di trovare una via di fuga una volta che il pozzo viene perforato.
Questo perché la roccia è talmente solida, poco porosa e poco permeabile che la molecola dell’idrocarburo è più grande e non riesce a passare.
Grazie a due nuove tecnologie, che in realtà non sono nuove per niente ed esistono da tantissimi anni (è nuova la combinazione di queste due tecnologie), che sono la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica è stato possibile liberare l’idrocarburo da queste prigioni rocciose in cui un tempo era confinato senza possibilità di fuga.
Poi Maugeri passa a spiegare perché, secondo lui, non ci può essere alcun collegamento tra estrazioni di petrolio e terremoti:
Sa qual è uno dei fenomeni principali che determina l’abbassamento di molte città e probabilmente anche alcuni fenomeni sismici? È l’emungimento di acque dal sottosuolo.
allora bisognerebbe stare attenti per esempio a consumare troppa acqua in agricoltura se si ritiene veramente che si sia correlazione tra l’emungimento di acqua dal sottosuolo e qualche fenomeno sismico. In Emilia e in tutta la Pianura Padana si consuma moltissima acqua, mi lasci dire si spreca moltissima acqua.
Se iniziamo a ragionare così, fermiamo tutto…
E forse Maugeri ha proprio ragione: bisognerebbe fermare tutto. Almeno le tecniche più controverse e per le quali non ci sono ancora studi scientifici sufficienti a dimostrare che siano completamente sicure, mentre ce ne sono già alcuni che avanzano pesanti sospetti.
Fonti: The Guardian, Hot Air, Festival dell’Energia