Emissioni auto: ecco perché è ora di mandare in pensione il diesel
Dallo scandalo emissioni Volkswagen ai controlli sui veicoli Renault, perché il diesel è ormai una tecnologia da mandare in pensione.
La hanno chiamata il “Dieselgate alla francese” l’inchiesta che ha portato alla sbarra anche, dopo la Volkswagen, la casa automobilistica Renault che dovrà richiamare per una messa a punto 15mila vetture non ancora messe in commercio.
Un “affaire” problematico del quale è stato investito il governo francese che con prontezza è corso ai ripari, visto che l’auto è uno dei pochi presidi industriali rimasti in Francia, Paese dove “l’esportazione ” delle attività manifatturiere è stata particolarmente pesante. L’annuncio del richiamo è stato dato qualche giorno fa dal ministro dell’Ambiente francese in persona, Segolene Royal, che ha detto:
Il richiamo di 15.000 veicoli Renault non ancora messi in commercio per una verifica e una corretta regolazione, affinchè il filtraggio funzioni in tutte le condizioni termiche è un controllo doveroso, che richiama l’attenzione sull’urgenza di un programma di controlli e verifiche che coinvolga tutti i costruttori.
Non si deve ripetere ciò che è accaduto con il Dieselgate Volkswagen. Per questo è necessario mettere in campo tutte le misure preventive utili a fare chiarezza sulle emissioni e sul rispetto di tutti i limiti imposti per la doverosa salvaguardia dell’ambiente. I cittadini chiedono la massima trasparenza, ma soprattutto vogliono conoscere con esattezza se e quanto il veicolo in loro possesso si discosta dalle prestazioni promesse in termini di consumi ed emissioni
Si è trattato quindi di un annuncio preventivo che ha voluto in primo luogo difendere le aziende automobilistiche nazionali ed europee da una “malattia” che potrebbe diventare epidemica, ma anche la Francia stessa, che dopo il successo legato alla firma dell’accordo alla COP21 non avrebbe potuto sopportare un segnale contrario verso l’opinione pubblica solo a un mese di distanza.
Che il tema sia sensibile lo ha dimostrato l’andamento delle Borse, che il 14 gennaio hanno visto un crollo delle quotazioni di Renault di oltre il 17%, seguita da Peugeot e Fca in flessione del 10%, mentre tutto il settore europeo ha segnato un meno 6%.
Dati che, se ce ne fosse bisogno, svelano quanto sia fragile il settore automobilistico di fronte alle crisi legate alle emissioni. Bisogna considerare inoltre che Renault, dalle indagini emerse, non avrebbe ingannato le rilevazioni con software “taroccati” come hanno fatto in Volkswagen, ma sarebbero emerse delle differenze tra i test in laboratorio e il comportamento su strada. Una cosa che ha portato il CEO di Renault, Carlos Ghosn ad affermare:
Non c’è stato inganno. Non c’è un software ingannevole. Le nostre auto sono tutte omologate e rispettano le norme. È evidente che quando si usa un auto in modo diverso rispetto a quello definito dalle norme si avranno emissioni diverse e spesso superiore.
La questione non è banale per un gruppo come Renault che nel 2015 ha segnato il terzo anno di seguito di crescita con un 3,3% e 2,8 milioni di auto vendute. Il problema è questo dunque, ma si tratta di una questione che ha radici lontane. La prima risiede nella scelta fatta, specialmente dall’industria europea verso la metà degli anni novanta di puntare con decisione sul diesel grazie all’evoluzione di questo propulsore introdotta dal Common Rail inventato dal gruppo FIAT e successivamente ceduto a Bosch che ha migliorato parecchio le prestazioni (del 20%), diminuito i consumi del 15%, ridotto l’inquinamento e la rumorosità rispetto al diesel precedente.
Il tutto in uno scenario europeo dove il gasolio ha oggi un costo tra il 10 e il 20% in meno rispetto alla benzina. Insomma si è trattata di un’occasione ghiotta per le case automobilistiche, sempre alla ricerca di novità per il mercato, ma che così facendo hanno imboccato un tunnel alla fine del quale la luce che s’intravede è quella di un treno. Oggi in Europa siamo al 50% di diffusione, il 55% in Italia, con difficoltà sempre crescenti d’adeguamento tecnologico specialmente sul versante ambientale.
L’alta percentuale di PM 10 e specialmente di PM 2,5 emesse dal diesel ha complicato la sua realizzazione introducendo dei costi accessori in fase di produzione che sono in aumento esponenziale. Alcuni analisti hanno calcolato che l’adeguamento alla norma Euro 7 dei motori diesel – ora siamo a Euro 6 – costerebbe ai costruttori ben 2.500 euro di costi di produzione in più. Una cifra che manderebbe fuori mercato tutta la produzione automobilistica diesel della fascia media bassa.
La seconda questione invece è termodinamica e ben lo sanno i costruttori. Ci si scorda spesso che il motore a combustione interna necessita di due elementi, il combustibile e il comburente, ossia l’ossigeno che nell’atmosfera non è presente assieme a molti altri composti chimici, azoto, vapore acqueo ecc. ecc. tutti fattori che possono influenzare le emissioni nell’utilizzo reale, al punto che molte case eseguono i test per l’omologazione in alta montagna per avere dati più favorevoli.
Ben lo sanno i sindaci delle grandi metropoli se il sindaco di Parigi Anne Hildago ha annunciato di voler vietare tutti i diesel nella capitale francese dal 2020, cosa che ha fatto dire a Sergio Marchionne: “proibire motori a gasolio o dire che sono la fonte di tutti i mali è sciocco e sbagliato”, mentre nel 2013 il Governo della cancelliera Merkel tentò di far saltare l’obbligo all’anno 2020 del limite d’emissione di CO2 fissato a 95 grammi/km.
Per non parlare dei consumi. L’ONG Transport & Environment ha verificato che i veri consumi delle auto sono tra il 23 e il 50% in più di quelli dichiarati e che i test per arrivare a tali risultati sono viziati da trucchi come la chiusura delle fessure delle portiere per migliorare l’aerodinamica, il distacco dell’alternatore per consumare di meno, le modifiche dei freni e la maggiore pressione delle gomme per diminuire l’attrito. Come ha detto il segretario della FIOM Maurizio Landini, commentando la vicenda Renault:
Tutti i costruttori di auto nessuno escluso, hanno chiesto all’Europa di spostare i termini sui motori diesel dal 2016 al 2019. Se non ci vogliamo raccontare delle balle quello è un problema che riguarda tutte le tecnologie e c’è un grave ritardo sullo sviluppo delle tecnologie pulite e sostenibili. Quello che è successo in questi anni è che se si lascia fare alle imprese e al mercato, le cose non funzionano, e questo riguarda anche le politiche del Governo.
Nel frattempo le pressioni per far sì che l’Unione Europea ritocchi i prossimi limiti d’emissione in favore della auto più inquinanti devono essere forti a Bruxelles se la commissaria Ue al Mercato interno Elzbieta Bienkowska ha dovuto affermare pubblicamente di scartare qualsiasi ipotesi di modifica. Il voto del Parlamento europeo in merito è previsto per metà febbraio.