Economia circolare, i dati del Circularity Gap Report 2024: siamo ancora fermi al 7,2%
Il Circularity Gap Report 2024 certifica lo stato di pessima salute dell'economia circolare nel mondo col 2030 alle porte: i dati più recenti
Fonte immagine: Foto di Shirley Hirst da Pixabay
Il concetto di economia circolare è stato esplicitato e analizzato a più riprese su queste pagine e con la sempre crescente attenzione all’ambiente e alla sua salute questo modello economico incentrato sulla riduzione degli sprechi e sulla massimizzazione del riutilizzo delle risorse sta diventando sempre più importante. Anche l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile ha messo nero su bianco l’obiettivo globale di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Quattro i punti principali:
- raggiungere la gestione sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali;
- ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo;
- incoraggiare le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e ad integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali;
- accertarsi che tutte le persone, in ogni parte del mondo, abbiano le informazioni rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura.
A 2024 ormai avviato, e con lo spettro del 2030 sempre più vicino, a che punto siamo con l’economia circolare? La risposta, come spesso accade in questi casi, è che c’è ancora troppo da fare. I dati li ha forniti in queste ore l’edizione 2024 del Circularity Gap Report della Circle Economy Foundation: nel 2023 il tasso di circolarità a livello globale è sceso al 7,2% rispetto al 9,1% del 2018.
Dati alla mano, spiegano dalla Circle Economy Foundation, il 92,8% dell’economia globale nel 2023 si è alimenta estraendo e usando materie prime vergini:
Negli ultimi sei anni l’economia globale ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali, quasi quanto le 740 miliardi di tonnellate consumate nell’intero XX secolo. Questo pone una pressione insostenibile sugli ecosistemi e sulla biocapacità della Terra, molto più di quanto abbiamo bisogno per soddisfare equamente molti bisogni sociali.
Il lungo rapporto sottolinea quello che sappiamo già e che ogni anno è anche al centro della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: non tutti i Paesi e gli esseri umani stanno depredando la Terra allo stesso modo e le disuguaglianze socioeconomiche non fanno che aumentare:
Una minoranza sempre più ridotta di persone è responsabile della maggior parte degli impatti ambientali, sia tra le Nazioni che all’interno di esse. Gli Stati ad alto reddito sono fattori chiave del collasso ecologico: i Paesi dell’UE e gli Stati Uniti da soli sono responsabili di oltre la metà del consumo materiale mondiale, nonostante ospitino appena un decimo della popolazione mondiale. L’1% più ricco del mondo è responsabile delle emissioni di carbonio pari a quelle dei due terzi più poveri, e ha accumulato quasi il doppio del denaro del 99% più povero.
Nel commentare l’ultimo rapporto, la Circle Economy Foundation sottolinea il ruolo determinante dei modelli di produzione e consumo dell’economia globale nel collasso della società globale: “Esacerbando la disuguaglianza, stimolando disordini politici e inasprendo la tensione sociale, i modelli di produzione e consumo dell’economia globale stanno provocando disordini sociali, guerre e migrazioni di massa. Il collasso climatico non fa altro che peggiorare la situazione, mettendo ulteriormente a dura prova l’accesso alle risorse e riducendo l’area di terra vivibile sulla Terra“.
Il problema è enorme e la soluzione è tutt’altro che semplice, anche se almeno a livello europeo si stanno facendo dei piccoli passi avanti. Tra le soluzioni suggerite dalla Circle Economy Foundation per i Paesi ricchi, ad esempio, c’è l’urgenza a ristrutturare e riutilizzare gli edifici, riciclare i materiali da costruzione e definire standard più stringenti sulla durabilità e sul diritto alla riparazione dei prodotti (qualcosa di simile è in fase di definizione in Europa). I Paesi a basso e medio reddito, invece, dovrebbero iniziare a puntare su produzione e agricoltura circolari, ma anche questo è più facile a dirsi che a farsi.