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Ecomondo 2019: Marine Litter, nel mirino le reti per l’acquacoltura

Plastica sempre più presente nel Marine Litter, se n'è parlato anche a Ecomondo 2019: nel mirino anche le attrezzature da pesca e per l'acquacoltura.

Ecomondo 2019: Marine Litter, nel mirino le reti per l’acquacoltura

Fonte immagine: HelenL100 / iStock

A Ecomondo 2019 si è discusso anche di Marine Litter. L’inquinamento da rifiuti dei mari è composto per circa un terzo da residui della pesca o dell’acquacoltura, sia persi durante le attività che deliberatamente abbandonati in acqua. Lungo le spiagge europee vengono recuperati ogni anno rifiuti in plastica per oltre 11mila tonnellate, ha sottolineato Legambiente.

Il bilancio non è roseo nemmeno per l’Italia. Se ne è discusso a Ecomondo 2019 durante il convegno “Marine litter e blue economy, impatti e soluzioni dal mondo della pesca e dell’acquacoltura”, organizzato da Legambiente e promosso dal Comitato Tecnico Scientifico Ecomondo con Associazione Mediterranea Acquacoltori, Bluemed, Clean Sea Life, Corepla, Enea e IPPR. Alla guida della discussione Stefano Ciafani, presidente Legambiente, e Fabio Fava, Università di Bologna e presidente del Comitato scientifico di Ecomondo.

Oltre 10mila retine per la coltivazione di mitili quelle rinvenute sugli arenili italiani, per una media di 31 pezzi ogni 100 metri di litorale (in alcune spiagge punte di oltre il 70% rispetto ai rifiuti complessivi). Particolarmente preoccupante il bilancio di alcuni recenti rapporti di Legambiente, come quello riferito a Porto Garibaldi (FE): le calze di plastica per la coltivazione dei mitili sono risultate l’80% dei rifiuti rinvenuti in sei mesi (oltre 20mila retine su 26.112 rifiuti censiti).

Il primo passo per invertire la rotta è rappresentato dalla legge Salvamare, indica Stefano Ciafani, presidente Legambiente, che però sottolinea la necessità di procedere con ulteriori provvedimenti:

Auspichiamo una rapida approvazione anche in Senato del disegno di legge “SalvaMare”. Si tratta sicuramente di un primo tassello importante, ma che da solo non basta per contrastare l’inquinamento dai rifiuti che colpisce pesantemente il mare, una sfida mondiale a cui l’Italia sta dando il proprio contributo anticipando spesso gli altri paesi europei. Ad oggi, ad esempio, non c’è ancora nessun controllo o regolamentazione della gestione a fine vita delle calze da mitilicoltura e mancano molto spesso i siti di stoccaggio nei porti oltre a procedure ben definite di riciclo.

L’Italia ha un’occasione unica per dare un contributo concreto allo sviluppo della blue economy, un modello di business sostenibile capace di generare un impatto positivo e di lungo termine soprattutto sulla salute dei nostri oceani e sullo stesso impatto economico del settore. La stessa direttiva europea sul monouso prevede la responsabilità estesa dei produttori degli attrezzi da pesca che ci auguriamo venga applicata anche in Italia, oltre a controlli accurati sul rientro a terra delle retine usate per evitarne l’abbandono in mare.

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