Barbara Capovani, la psichiatra tragicamente uccisa nel aprile 2023 all’uscita dal suo turno presso l’ospedale Santa Chiara di Pisa, era attivamente coinvolta in iniziative mirate a migliorare la sicurezza degli operatori sanitari. Il suo ricordo è stato onorato durante un convegno della Fiaso, tenutosi in occasione della giornata contro le aggressioni agli operatori del settore, dove Tullia Rainaldi, membro del consiglio direttivo dell’Associazione Barbara Capovani, ha condiviso le sue riflessioni. Questa associazione è stata fondata da familiari, amici e colleghi di Barbara per continuare i progetti che lei aveva avviato e quelli a cui teneva particolarmente.
“Barbara avrebbe voluto che si parlasse di questo tema, lo considerava fondamentale per l’esercizio delle professioni sanitarie, per comprendere come apportare cambiamenti e miglioramenti”, ha dichiarato Rainaldi. “Tuttavia, dopo quanto accaduto, discutere della violenza contro gli operatori sanitari implica inevitabilmente tornare a pensare alla sua tragica fine. Una delle principali preoccupazioni della dottoressa Capovani, in qualità di responsabile dell’Spdc del Santa Chiara, era garantire la sicurezza e l’incolumità dei suoi collaboratori, infermieri e operatori sanitari, che operavano in un contesto così complesso e delicato come quello della psichiatria, dove episodi di violenza non erano rari”.
Rainaldi ha continuato a raccontare come Barbara esprimesse spesso il suo rammarico per non riuscire a garantire la sicurezza dei suoi colleghi. “Oltre ai pazienti psichiatrici, nel reparto arrivavano frequentemente persone che non trovavano collocazione in carcere o in altre strutture, e questo rappresentava un grande cruccio per lei. Proprio per affrontare questa problematica, nei giorni precedenti alla sua aggressione, Barbara era attivamente impegnata in un’iniziativa che aveva promosso, coinvolgendo il Tribunale di Pisa e la Procura. L’obiettivo era redigere delle linee guida e uno schema operativo per migliorare il coordinamento tra gli organi coinvolti, al fine di tutelare gli operatori sanitari in prima linea”.
Rainaldi ha poi messo in evidenza che, oltre alla cronica carenza di risorse, manca una visione complessiva e un approccio multidisciplinare, elementi che Barbara stava cercando di promuovere per superare le criticità di un settore spesso caratterizzato da una mancanza di dialogo tra le diverse figure coinvolte. “Basti pensare – ha sottolineato – alle conseguenze del sistema assurdo che regola l’inserimento nelle Rems degli autori di reato diagnosticati come incapaci di intendere e di volere. Questo sistema si riflette, purtroppo, sulla pelle dei familiari e degli operatori sanitari, a causa di una mancanza di coordinamento tra le funzioni della Magistratura, che si fermano, per così dire, alle porte delle Rems, e quelle del Servizio sanitario regionale che gestisce tali strutture”.
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