Doha: accordo su Kyoto 2. Ancora fuori Cina e USA
Conclusa la Conferenza sul clima di Doha si valutano i risultati ottenuti. Approvata la seconda fase di Kyoto, ma ancora distanti i maggiori inquinatori.
A Doha si sono ufficialmente chiusi i lavori della Conferenza sul clima. Nessun nuovo accordo è stato siglato nella lotta ai cambiamenti climatici, salvo un via libera alla seconda fase del Protocollo di Kyoto fino al 2020. Critiche da parte delle associazioni ambientaliste per quello che sembra essere un esito finale piuttosto deludente.
Un risultato piuttosto scontato viste le reticenze evidenziate già prima dell’avvio della Conferenza sul clima di Doha. Si passa quindi alla fase già nota come Kyoto 2, mentre dai Paesi impegnati nella lotta alle emissioni di CO2 restano ancora fuori i maggiori inquinatori: Cina, USA e India.
A sottoscrivere Kyoto 2 solo Unione Europea, Norvegia, Australia e Svizzera (insieme appena il 15% delle emissioni globali di gas serra), mentre non figurano Russia, Giappone e Canada che pure avevano sottoscritto il protocollo iniziale. Fuori dal trattato anche Brasile, Messico e Sud Africa, metre preoccupanti sono soprattutto le posizioni ancora troppo distanti di Cina (29% di emissioni) e Stati Uniti (16%).
Alcuni, seppur modesti rispetto alle attese, risultati sono tuttavia stati raggiunti. Nonostante le forti pressioni della Russia è stato approvato un tetto alle emissioni di CO2 commercializzabili fissato al 2,5%. A questo sarà inoltre applicata una “Tobin Tax” del 2%. Si è anche approvato l’obbligo di definire, prima del vertice 2015, la rotta da seguire per garantire i risultati tra emissioni attese (pari a circa 58 Gton) e il limite massimo tollerabile fissato dagli scienziati (44 Gton).
Per contro dal vertice vengono nuovamente ignorati quei 100 miliardi di aiuti promessi ai Paesi in via di sviluppo per affrontare le emergenze legate al clima promessi a Copehnagen. Dubbi anche sulla posizione tenuta dall’UE, incapace di riportare all’ordine una Polonia sul tema del trasferimento dei crediti di emissione residui dalla prima fase di validità del Protocollo di Kyoto alla seguente.
L’Unione Europea perde anche l’occasione di imporsi come leader del rinnovamento non adeguando gli obiettivi al 2030 portandoli dall’attuale 20% (da qui a poco già raggiunto) al 30% ipotizzato. Andamento al ribasso sul quale ha pesato l’attuale crisi economica secondo quanto affermato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini:
Sugli accordi di Doha ha pesato molto la caduta di tensione e di attenzione da parte dei Paesi che stanno fronteggiando la crisi economica. È tuttavia un errore di prospettiva pensare che i cambiamenti climatici non siano una parte importante e urgente dell’agenda economica globale.
Giustificazioni che però non convincono le associazioni ambientaliste, convinte della possibilità anche a Doha di sottoscrivere accordi più efficaci e condivisi anche da un numero maggiore di Paesi. Dura la critica di Kumi Naidoo, Direttore esecutivo di Greenpeace International:
Oggi chiediamo ai politici riuniti a Doha: su quale pianeta vivete? Certamente non su quello in cui le persone muoiono per alluvioni, tempeste e siccità. E neppure su quello in cui le energie rinnovabili stanno crescendo rapidamente e limiti e vincoli vengono progressivamente opposti all’uso delle fonti sporche come il carbone. I negoziati di Doha si annunciavano già come poco significativi ma hanno finito per deludere anche le più modeste aspettative.
Tutto rinviato al 2015, come stabilito al termine del vertice di Durban, anno in cui si dovranno necessariamente trovare accordi vincolanti e stringenti per tutti. In attesa della prossima Conferenza sul clima, in programma il prossimo anno a Varsavia, al momento continuano però ad avere la meglio sul futuro globale gli interessi personali dei singoli Paesi.