È stata resa pubblicata la tanto attesa e temuta mappa dei siti idonei a ospitare il deposito italiano di scorie nucleari. Elaborata in questi anni dalla Sogin, è frutto di un documento nel quale la società pubblica di gestione del nucleare ha indicato 67 aree potenzialmente adatte a portare lo scomodo fardello.
Diverse le Regioni inserite nella mappa Sogin per l’individuazione del sito idoneo a ospitare il Deposito Unico nazionale per le scorie nucleari. Alcune aree più di altre sono ritenute valide e sono state catalogate rispettivamente “verde smeraldo” (le più adatte) e “verde chiaro” (le soluzioni alternative migliori).
Destinati al deposito unico non soltanto quei prodotti di scarto generati quotidianamente da dispositivi medici, per l’esecuzione di procedure diagnostiche come i mezzi di contrasto o altri rifiuti a moderata radioattività, ma anche scarti del mai decollato tentativo di lanciare il nucleare in Italia. Di seguito le località individuate e le critiche espresse da alcuni consigli regionali e da alcuni esponenti del mondo ambientalista.
Le aree indicate dalla Sogin sono localizzate nelle seguenti Regioni o raggruppamenti regionali. A cominciare dal Piemonte, che ne ospita 8 tra la Provincia di Torino e quella di Alessandria:
Nel raggruppamento a cavallo di Toscana e Lazio sono localizzate 24 delle aree indicate come potenzialmente utili dalla Sogin. Interessate le Province di Siena, Grosseto e Viterbo, con riferimento ai Comuni di: Pienza, Campagnatico, Ischia di Castro, Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano.
Per quanto riguarda Basilicata e Puglia le Province interessate sono quelle di Matera, Potenza, Bari e Taranto. I Comuni potenzialmente coinvolti sono quelli di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso.
Sono 14 le zone individuate in Sardegna, mentre già nelle scorse ore si è levato un fronte contrario allo stoccaggio di scorie nucleari nell’isola. Interessati in questo caso alcuni Comuni della Provincia di Oristano e in quella Sud Sardegna: Siapiccia, Albagiara, Assolo, Mogorella, Usellus, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Tuili, Ussaramanna, Gergei, Las Plassas, Villamar, Mandas, Siurgus Donigala, Segariu, Guasila, Ortacesus.
Infine la Sicilia, nella quale le zone indicate (i Comuni di Trapani, Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula, Petralia Sottana) si trovano nelle Provincie di Caltanissetta, Trapani e Palermo.
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Alcune delle aree indicate nell’elenco dei siti potenzialmente validi sono considerate più adatte di altre. Si parla di 23 zone “verdi”, divise tra “smeraldo” e “verde chiaro“. Ecco di quali si tratta:
Diverse critiche sono arrivate già da alcuni consigli regionali e dalle associazioni ambientaliste. Tra queste Greenpeace, che in una nota stampa ha espresso delle perplessità riguardo la tipologia e il numero di siti necessari:
Greenpeace ribadisce di non condividere la strategia scelta dall’Italia, basata sull’unica ipotesi di dotarsi di un solo Deposito Nazionale che ospiti a lungo termine i rifiuti di bassa attività e, “temporaneamente”, i rifiuti di media ed alta attività.
Oltre a essere l’unico caso al mondo di gestione combinata dei rifiuti, tutto ciò ha implicazioni non secondarie: come la possibile decisione di “nuclearizzare” un nuovo sito vincolandolo a lungo termine alla presenza di rifiuti pericolosi. Oltre all’ipotesi – tutta da verificare – che vi sia un consenso dei cittadini, e degli enti che li rappresentano territorialmente, a ospitare il deposito unico.
Sarebbe stato più logico verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma utilizzando i siti esistenti o parte di essi e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni.
Il Programma non può, come è ovvio, risolvere la questione definitivamente, ma di fatto propone una lunga transizione, stimabile nell’ordine di un secolo, in cui la parte minore in volume dei rifiuti nucleari, ma fortemente maggioritaria della radioattività, è gestita “temporaneamente” in un Deposito unico che non può ospitarla definitivamente.