Coronavirus: le tipologie di kit diagnostico
Per diagnosticare l'infezione da coronavirus sono necessari dei test diagnostici di conferma: ecco le tipologie a oggi più diffuse.
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Nel gestire l’emergenza da nuovo coronavirus 2019-nCoV risulta di fondamentale importanza la diagnosi. Poiché i sintomi iniziali dell’infezione da COVID-19 sono comuni ad altre patologie, come ad esempio la più diffusa influenza stagionale, in ambito ospedaliero diventa indispensabile stabilire se il paziente sia effettivamente stato colpito dal coronavirus oppure soffra di altri disturbi. Per farlo, nel corso degli ultimi mesi sono stati elaborati diversi kit diagnostici: quali sono e come funzionano?
A oggi, sono principalmente quattro le metodologie di ricerca dell’infezione da coronavirus: il tampone, il test rapido sul sangue, il test a mascherina e la ricerca degli anticorpi. Ogni metodo ha una diffusione diversa, a seconda dell’affidabilità e delle normative della nazione in cui vengono effettuati i test. Di seguito, qualche informazione di base sulle loro differenze.
Tampone naso-faringeo
Il tampone naso-faringeo è il metodo più diffuso per verificare l’infezione da nuovo coronavirus, nonché il test d’elezione impiegato anche in Italia. La procedura consiste nel prelevare un campione di secrezioni, come ad esempio la saliva oppure il muco, tramite un tampone messo a contatto con le mucose della gola e del naso. Per farlo si utilizza uno strumento simile a un lungo cotton-fioc.
Prelevato il materiale, il tampone viene inviato in laboratorio. Semplificando la procedura per agevolarne la comprensione, il primo passo è quello della verifica della presenza di RNA virale nel campione raccolto. In caso questo RNA dovesse essere presente, si procede alla verifica della tipologia di virus e, se appartenente ai coronavirus – quindi anche al SARS-CoV-2 – si vanno a ricercare dei marcatori specifici. Se l’esito di questo processo risulta positivo, il paziente è affetto da COVID-19.
Test rapidi
Non ancora diffusi a livello internazionale, anche perché la loro effettiva efficacia deve essere ancora vagliata da molti organismi nazionali e mondiali, i test rapidi si propongono di fornire una risposta in pochi minuti con un metodo di raccolta mini-invasivo di un campione di sangue.
Similmente a quanto avviene per i test rapidi per l’HIV, quelli per il coronavirus prevedono di estrarre una goccia di sangue dal dito del paziente, avvalendosi di una lancia sterile. Il sangue in questione viene quindi raccolto con una pipetta, oppure con una speciale strip assorbente, e grazie all’azione di alcuni reagenti si evidenza l’eventuale presenza di anticorpi contro il virus, segno che l’infezione è in corso. Come già accennato, alcune autorità sanitarie mondiali hanno espresso dubbi sull’affidabilità di questo strumento, in attesa di nuovi ed esaustivi studi. In ogni caso, il test rapido fornisce un’indicazione di possibile contagio, che dovrà però essere confermato con un successivo tampone naso-faringeo.
Test a mascherina
Ancora in fase di sviluppo e verifica, il test a mascherina è stato di recente elaborato dalle Università di Leicester e Pretoria. Il sistema prevede l’applicazione di alcune strisce di speciale polivinile trattato all’interno di una mascherina, da far indossare al paziente di cui si sospetta il contagio.
Indossando il presidio, le strisce in questione si impregnano con le goccioline di saliva ed altre secrezioni del paziente. Dopo 12 ore possono quindi essere rimosse e inviate a un laboratorio specializzato per la ricerca del virus.
Ricerca degli anticorpi
La ricerca degli anticorpi nel sangue è il metodo più complesso, ma anche più affidabile, per confermare l’avvenuta infezione da nuovo coronavirus 2019-nCoV. Similmente a quanto avviene per altri tipo di contagio virale – si pensi al classico test dell’HIV – un campione di sangue viene prelevato dal paziente e inviato a un laboratorio.
A questo punto il sangue viene processato tramite le tecniche di PCR – la reazione a catena della polimerasi – e si individua la presenza di anticorpi specifici per il coronavirus. L’affidabilità è molto elevata, tuttavia la presenza del virus può essere confermata quando l’organismo del paziente ha già cominciato a produrre proprio anticorpi, un fattore non frequente nelle prime fasi del contagio.