Coronavirus, sintomi più gravi con carenza di vitamina D
La carenza di vitamina D espone a un maggiore rischio di sviluppare sintomi gravi in caso di Coronavirus, a sostenerlo uno studio statunitense.
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La carenza di vitamina D può portare a sintomi più gravi in caso di contagio da Coronavirus. A sostenerlo uno studio presentato in questi giorni dalla Northwestern University (Illinois, USA), secondo cui scarsi livelli di questo complesso vitaminico porterebbero a una maggiore possibilità di aggravamento del quadro clinico in caso di Covid-19.
Lo studio guidato dalla Northwestern University ha analizzato i dati, relativi alla mortalità da nuovo Coronavirus, forniti da ospedali e cliniche di vari Paesi tra cui Italia, Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Cina, Stati Uniti, Svizzera, Corea del Sud e Iran. La ricerca è stata pubblicata su medRxiv e presentata sul sito ufficiale dell’ateneo statunitense. Ha dichiarato Vadim Backman, alla guida dello studio:
Il sistema sanitario del Nord Italia è uno dei migliori nel mondo. Differenze nella mortalità esistono persino se si guarda a persone dello stesso gruppo d’età. Mentre le restrizioni riguardo i test effettivamente variano, le differenze nella mortalità rimangono anche se guardiamo a Paesi o popolazioni con il medesimo tasso di applicazione dei test. Al contrario, abbiamo riscontrato una significativa correlazione tra mortalità e carenza di vitamina D.
I ricercatori hanno riscontrato inoltre una forte correlazione tra carenza di vitamina D e un fenomeno di iperinfiammazione noto come “tempesta di citochine”. Questo processo innesca una reazione eccessiva da parte del sistema immunitario, spiega Backman, con il rischio di favorire danni polmonari e l’insorgenza di condizioni più gravi in relazione al Coronavirus.
Secondo Backman assicurare un livello ottimale di vitamina D non aiuta a prevenire il contagio da Covid-19, ma permette all’organismo di reagire meglio all’infezione riducendo il rischio di sviluppare una sintomatologia più grave e potenzialmente fatale.
Lo studio statunitese potrebbe contribuire, insieme a due precedenti lavori pubblicati in questi mesi (il più recente quello australiano, pubblicato a fine aprile), a modificare il parere espresso dal Ministero della Salute in merito alla vitamina D, per la quale non si è ritenuto finora sufficiente il corpo di ricerca a supporto di un suo ruolo attivo nel contrastare il Coronavirus.
Fonte: Northwestern University