Centrali nucleari al torio: vantaggi e svantaggi
Una soluzione diversa per il nucleare viene rilanciata in questi giorni da più parti. È quella di Carlo Rubbia e prevede l'utilizzo di torio al posto dell'uranio
Sono settimane importanti quelle che abbiamo davanti. A prescindere dal nostro punto di vista sul nucleare è sempre meglio essere informati su tutto ciò che vi ruota intorno, fosse anche solo per un “conosci il tuo nemico”. Riguardo al ritorno dell’atomo in Italia si è molto parlato e tanto ancora se ne discuterà nei prossimi mesi. Un’ipotesi però merita di essere approfondita, non in quanto vera e propria alternativa al nucleare (visto che pur sempre di nucleare si tratta), ma come possibile male minore in caso di costruzione di nuove centrali.
L’idea non è in realtà recentissima, essendo stata proposta alcuni anni fa dall’italiano Carlo Rubbia. Si basa su un principio fondamentale: niente più uranio o plutonio per alimentare le reazioni nucleari, ma il torio. Un elemento questo presente in quantità maggiori sulla Terra e in grado di produrre energia a temperature decisamente più ridotte. Ben lontani purtroppo dall’auspicata fusione fredda, ma pur sempre una fonte di danno minore.
Scendendo più nel dettaglio, ci sono alcuni punti che potrebbero far pendere la bilancia verso questa soluzione e rilanciare così l’avvento del nucleare anche da noi; allo stesso tempo restano inalterati alcuni fattori per cui gli oppositori di questa tecnologia non molleranno assolutamente la presa.
Vediamo i vantaggi che deriverebbero dall’utilizzo del torio per gli impianti al posto dell’uranio:
- le reazioni che generano l’energia sono indotte, vanno continuamente stimolate rendendo così sostanzialmente impossibili le esplosioni;
- il precedente punto porta direttamente al secondo, ovvero che la relativa sicurezza garantirebbe tempi e costi minori di realizzazione;
- il torio è presente in molti paesi, Italia compresa, e anche nei paesi meno sviluppati. Si eviterebbe quella dipendenza dai paesi proprietari di giacimenti di uranio e il loro controllo dei prezzi del mercato;
- dal torio non è possibile estrarre plutonio ed è di conseguenza impossibile produrre ordigni nucleari;
- a parità di peso, la produzione energetica rispetto ad un impianto alimentato ad uranio sarebbe fino a 250 volte maggiore;
- la radioattività delle scorie di torio avrebbe un’emivita (una durata nel tempo) di gran lunga minore rispetto ai 24mila anni circa rispetto all’uranio.
Rispetto alle pur recenti innovazioni sul tema atomico, sembreremmo di fronte ad un nucleare assolutamente più accessibile, sicuro e meno dannoso. In effetti è così, volendo proprio ritornare a questa fonte energetica sarebbe una scelta più sensata. Restano alcune procedure da affinare e i vari studi del caso da effettuare per partire in maniera decisa verso questa direzione, ma tutto appare superabile.
A questo punto sorge spontanea una domanda: perché non si parla mai di questa soluzione, mentre del classico uranio sono piene le cronache politiche attuali? Alcune risposte sono altrettanto spontanee, ma si rischia di cadere nella fanta politica. O forse no.
Rileggendo i punti a favore di questa tecnologia finiamo inevitabilmente per trovare qualche risposta, come ad esempio l’impossibilità di generare un oligopolio del torio, quindi nessun possibile mercato a favore dei paesi che ne sono in possesso, o l’impossibilità di generare quel plutonio tanto caro ai guerrafondai della politica durante la guerra fredda.
Citando i vantaggi però commetteremmo una mancanza se non citassimo anche i gli svantaggi collegati, che sono poi gli stessi collegati al “classico” nucleare:
- non esiste, a meno dell’auspicata fusione fredda, un nucleare totalmente pulito e sicuro. I rischi per l’ambiente, seppur attenuati, rimangono;
- la questione salute pubblica pensando agli alti tassi di tumori, leucemia e altre gravi malattie che si registrano nei pressi di impianti nucleari. Anche per questo secondo punto vale il discorso precedente, minori pericoli di radiazioni e quindi di complicazioni, ma rischi comunque non azzerati;
- necessità inevitabile di stoccare le scorie generate, che per quanto conservino la radioattività per un lasso di tempo minore (di cui non si hanno in effetti dati troppo precisi, si va dai 30 ai 500 anni a seconda della fonte informativa) richiedono comunque un’attenta gestione;
- anche il torio prima o poi finirà, e avremo soltanto perso tempo prezioso per arrivare ad ottenere lo stesso contributo energetico da fonti rinnovabili.
Ad ogni modo in India entro un anno apriranno una nuova centrale nucleare alimentata a torio e costruita seguendo direttamente le indicazioni di realizzazione espresse da Rubbia. Ne potremo valutare risultati, sicurezza e impatto sull’ambiente e sulla salute a fronte di dati certi e verificabili sui quali si potrà discutere.
Nel chiudere ricordo un’ultima cosa: quanto discusso in questo articolo non riguarda il prossimo referendum del 12-13 giugno. Il ritorno agli impianti atomici discusso nel quesito è quello che tutti conosciamo alimentato ad uranio.