Cani e gatti, perché alcuni hanno zampe di diverso colore? Lo spiega la scienza
Cani e gatti hanno spesso zampe di diverso colore rispetto al corpo, nella maggior parte dei casi bianche: la scienza spiega per quale ragione.
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Non capita raramente di vedere cani e gatti con le zampe di un colore diverso rispetto al manto. Una particolarità che, come spesso accade per l’universo degli amici a quattro zampe, ho trovato grande risonanza sui social network: poiché la differenza di tinta ricorda dei calzini oppure dei simpatici stivaletti, sono nati molti account e gruppi a tema. La scienza, tuttavia, ha una risposta per questa difformità cromatica: si tratta di una mutazione genetica.
A causare la singolare caratteristica delle zampe dei cani e dei gatti – soprattutto quando bianche, nonostante il resto del manto sia un altro colore – è il cosiddetto piebaldismo. Si tratta della modifica di un gene, che porta a una distribuzione inusuale dei melanociti responsabili della colorazione della pelle e dei peli.
La peculiarità, così come spiega Popular Science, viene definita già in fase di crescita dell’embrione: quando i melanociti, che nel feto hanno origine dalla colonna spirale, si distribuiscono in modo uniforme su tutto il corpo, si avrà un animale dal manto a tinta unica. In caso contrario, vi saranno chiazze più chiare e bianche: l’estremità delle zampe è quella maggiormente colpita.
Sempre Popular Science spiega come il piebaldismo sia solo una delle tante cause generiche alla base delle differenze di colore nel manto di Fido e di Fufi. Sono sempre dei geni, ad esempio, che determinano l’aspetto a strisce del gatto tigrato, mentre i riflessi ambrati del gatto norvegese delle foreste sono determinati da una mutazione del gene MC1R. I siamesi, invece, sono portatori di una sorta di albinismo selettivo, che porta a un corpo chiaro con delle estremità invece scure.
Ovviamente la presenza di zampe chiare o bianche, rispetto al resto del corpo, non causa alcuna problematica di salute per gli animali che ne sono portatori.
Fonte: Popular Science