
Negli ultimi tre anni, il settore del cacao ha affrontato una crisi senza precedenti, aggravata da conflitti, instabilità geopolitica, dazi commerciali e il riscaldamento globale. In Ghana, uno dei maggiori produttori mondiali, a queste sfide si aggiunge un altro problema crescente: l’espansione delle miniere illegali di oro. Queste attività minerarie non solo sottraggono preziosi terreni alle piantagioni di cacao, ma causano anche gravi contaminazioni ambientali, mettendo a rischio la salute delle piante. Di fronte a margini di profitto sempre più ristretti, numerosi lavoratori delle piantagioni hanno deciso di abbandonare l’agricoltura per cercare fortuna nelle miniere, contribuendo a un circolo vizioso che sembra non avere fine.
Questa complessa realtà è stata messa in luce dal Financial Times, che ha condotto un’inchiesta approfondita sul tema, successivamente ripresa da FoodNavigator, il quale ha dedicato numerosi articoli alla situazione del cacao. Il Ghana è stato storicamente riconosciuto per le sue risorse aurifere, come testimoniato dal soprannome “Costa d’Oro” risalente all’epoca coloniale britannica e dall’uso della polvere d’oro come moneta nell’impero Ashanti nel XIX secolo.

Il suolo ghanese è ricco di oro, ma l’estrazione illegale sta avendo un impatto devastante sull’ambiente. Le tecniche utilizzate per l’estrazione comportano l’uso di sostanze tossiche come mercurio, piombo e arsenico, che inquinano terreni e corsi d’acqua. La creazione di nuovi scavi implica l’estirpazione di vegetazione, lasciando dietro di sé paesaggi desolati e pieni di scorie tossiche. Secondo il Ghana Cocoa Board, oltre 19mila ettari di terreno agricolo sono stati trasformati in miniere. Le statistiche ufficiali rivelano che a marzo, il prezzo di una tonnellata di cacao pronta per la vendita ha raggiunto i 10.000 dollari.
L’upcycling del cacao
In risposta alla grave crisi del settore, si sta discutendo di un cambiamento radicale lungo l’intera filiera del cacao. Tradizionalmente, solo le fave di cacao venivano utilizzate, ma oggi si riconosce che anche altre parti del frutto, come la polpa e la buccia, possono essere valorizzate. Questi scarti possono contribuire in modo significativo alla creazione di prodotti innovativi, riducendo notevolmente lo spreco.
Attualmente, le aziende stanno esplorando tre principali modalità per riutilizzare il cacao. La prima prevede l’utilizzo della polpa, solitamente disidratata e trasformata in polvere, per la produzione di bevande e snack. La seconda strategia riguarda l’estrazione degli zuccheri dalla polpa, utilizzati come “zucchero non raffinato”. Infine, la terza modalità valorizza la buccia, che viene triturata per ottenere un cacao ricco di fibre.
Il sito FoodNavigator ha recentemente presentato alcune delle iniziative più promettenti nel campo dell’upcycling del cacao. Tra queste, la svizzera Barry Callebaut ha lanciato una linea di ingredienti che sfrutta l’intero frutto del cacao per la produzione di dolci, gelati e snack. Anche Lindt & Sprüngli, in collaborazione con la startup svizzero-ghanese Koa e il Politecnico di Zurigo, ha sviluppato una barretta di cioccolato contenente polpa di cacao, sebbene non sia ancora disponibile in Italia. La startup Blue Stripes, attiva dal 2017, è impegnata nell’upcycling del cacao.

Il ruolo dei consumatori
Le aziende stanno quindi cercando di adattarsi alle nuove sfide, ma il successo delle loro strategie dipenderà in gran parte dalla risposta dei consumatori. Per incentivare l’accettazione di prodotti che si distinguono per sostenibilità e rispetto dei diritti dei lavoratori, è interessante considerare i risultati di uno studio recente pubblicato su Q Open, che ha esaminato l’impatto di diversi tipi di contenuti sui social media sulla scelta del cioccolato.
La ricerca si è concentrata sull’effetto di brevi video, analizzando come quattro diversi approcci comunicativi influenzassero le decisioni di acquisto. Tre ricercatrici tedesche, insieme a un collega austriaco, hanno coinvolto oltre 2.100 partecipanti, presentando loro messaggi che variavano tra informazioni oggettive e contenuti emotivamente coinvolgenti. Alcuni video mettevano in luce dati freddi, come il consumo idrico o l’impatto ambientale, mentre altri suscitavano emozioni come rabbia o gioia, affrontando temi di sostenibilità o sfruttamento del lavoro minorile.
I risultati hanno mostrato che i video emotivi sono più efficaci nel breve termine, inducendo i consumatori a optare per prodotti sostenibili, anche se più costosi. Tuttavia, questo effetto tende a svanire dopo due settimane, mentre la razionalità emerge come un fattore decisivo nel lungo periodo. Gli autori suggeriscono che le campagne di marketing dovrebbero adattarsi, modulando il tono in base alla strategia e ai tempi previsti.