Arriva il fiore anti inquinamento
Arriva il fiore anti inquinamento, un vegetale capace di assorbire sostanze dannose dal terreno per disperdere poi ossigeno in atmosfera.
La natura ci stupisce di continuo con mille sorprese, fra tutte la sua capacità di rigenerarsi nonostante le condizioni avverse. A chiunque sarà capitato di notare dell’erba spuntare orgogliosa fra il cemento, oppure di ammirare una coraggiosa primula cresciuta tra l’asfalto. Dove l’uomo distrugge, insomma, l’ambiente cerca di recuperare in corsa. Perché allora non sfruttare questa capacità di self-healing per ripulire il Pianeta?
È questa l’idea alla base di uno studio condotto da un gruppo di centri di ricerca inglesi, tra cui l’Università di Warwick, quella di Birmingham, la Newcastle University, gli atenei di Cranfield e l’Università di Edimburgo: un fiore che sia in grado di assorbire l’inquinamento. Il progetto, chiamato Cleaning Land for Wealth, vede investimenti pari a 3 milioni di sterline e si propone di produrre dei vegetali che siano in grado di assorbire sostanze tossiche dal terreno rilasciando ossigeno in atmosfera.
La teoria, sebbene la pratica non sia così immediata, è di facile comprensione: vi sono delle specie floreali comuni assolutamente avide delle sostanze normalmente presenti nel terreno. Piantati su campi contaminati, o sottoposti a opportuna modifica per ibridazione, questi vegetali riuscirebbero a estrarre elementi chimici dannosi dalla terra. Inoltre, alcuni fiori potrebbero essere utilizzati come veri e propri serbatoi per nanoparticelle riutilizzabili, come quelle di arsenico e platino, indispensabili per settori come quello automobilistico o biotecnologico.
La prima fase di testing vede protagonista l’Alisso, un comunissimo fiore di campo praticamente ubiquitario e disponibile nelle colorazioni giallo, bianco e lilla. Non è però la prima volta che il concetto dello scambio di sostanze dannose tra terra e vegetali viene applicato dalla scienza: in passato, infatti, si è tentata la stessa via con lo sfruttamento di speciali batteri, non sempre rivelatisi efficaci. Con i fiori pare che le probabilità di successo siano decisamente più elevate, come spiega Kerry Kirwan, un ricercatore coinvolto nello studio:
«I processi che stiamo sviluppando non rimuoveranno soltanto sostanze velenose come arsenico e platino dalle terre e dalle acque contaminate. Saranno anche utili alla promozione di strategie biologiche e di bioraffineria per personalizzare le forme e le dimensioni delle nanoparticelle metalliche utili all’industria tecnologica».