Aboca: erbe e scienza contro l’obesità. Intervista a Valentina Mercati
Abbiamo intervistato Valentina Mercati, direttore marketing di Aboca, che ci ha illustrato le chiavi del successo di un'azienda da sempre innovativa pur guardando alla tradizione.
Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’opportunità di intervistare di persona Valentina Mercati, direttrice marketing di Aboca. L’azienda, con sede a Sansepolcro (AR), è attiva dal 1978 ed è leader in Italia nel settore della fitoterapia, cioè nell’utilizzo di piante per la realizzazione di prodotti per la salute e il benessere. Partita come “semplice” azienda agricola si è evoluta costantemente negli anni riuscendo in un’impresa per molti impossibile: coniugare le proprietà curative delle erbe officinali con ricerche scientifiche all’avanguardia.
Siete stati, in un certo senso, dei pionieri in quella che oggi viene definita “green economy“. Quali sono state le chiavi del successo di Aboca dal 1978 a oggi?
Le chiavi più importanti sono sono state due: la prima è l’idea di base, la missione dell’azienda, cioè che le sostanze naturali siano una risorsa insostituibile per la salute dell’uomo moderno. La seconda chiave è la coerenza nel mantenere questa missione. L’azienda è cambiata molto dagli anni ’70 a oggi, ma la visione è rimasta sempre quella e c’è voluta grande coerenza per mantenerla. Chiaramente le sostanze naturali vanno conosciute con gli strumenti moderni. Quando siamo partiti nel 78 le erbe venivano considerate “green” in senso deteriore, qualcosa di alternativo e snob, trasformare questa cosa di nicchia, esclusa dalla farmacia e dal sistema sanitario, portarla con coerenza nel sistema salute è stata rivoluzionaria. Questo ci ha premiato negli anni. Ci sono stati anni in cui inserire delle vitamine di sintesi ci avrebbe fatto fatturare di più, ma noi siamo stati sempre coerenti con la nostra idea di base. Inoltre ritengo che umiltà e lavoro siano sempre due parole importanti in ogni successo.
Natura e tecnologia, un binomio insolito che da sempre avete coltivato. Quanto è importante la ricerca scientifica in un’azienda come la vostra? Qual è la percentuale di fatturato che investite ogni anno in ricerca?
Noi investiamo in ricerca tra il 3 e il 5% del fatturato a seconda degli anni. La caratteristica dell’azienda è stata sempre quella di puntare sulla ricerca dall’inizio, cioè dal 78 a oggi. Noi siamo nati come azienda agricola, e lo siamo tuttora, quindi i nostri investimenti in ricerca sono stati indirizzati sulle coltivazioni, le varietà migliori, l’acclimatazione delle piante, le sementi migliori ma anche i macchinari adatti alla raccolta di queste erbe. Alcuni macchinari li abbiamo modificati, con le indicazioni dell’azienda, prendendoli dalla raccolta del tabacco. Ad esempio la macchina della camomilla è stato uno dei primi grandi investimenti. Questo per dire che dalla ricerca agricola si è passati alla ricerca sulla biologia molecolare, quindi, a livello cellulare, la ricerca sugli effetti delle sostanze naturali e del cibo in generale sui nostri geni. Queste nuove scienze che prendono il nome di omiche (nutrigenomica, proteomica, metabolomica) vanno a studiare proprio a livello di espressione del DNA quali sono le modifiche che si possono avere con delle sostanze invece che altre. La nostra particolarità è quella di essere un’azienda agrofarmaceutica. Siamo un’azienda farmaceutica, ma prendiamo i nostri principi attivi dai campi.
Il ricorso a rimedi naturali per la salute e la bellezza è una tendenza in crescita negli ultimi anni. Secondo lei c’è ancora resistenza da parte degli italiani nei confronti dei prodotti fitoterapici oppure vengono considerati al pari o meglio dei farmaci tradizionali?
Ritengo che sia stato sufficientemente compreso sia dal cittadino comune, sia dalla classe medica e dalla comunità scientifica, che le sostanze naturali possono essere utili per tante cose: sia per la prevenzione delle malattie, sia per la cura di esse al pari dei dispositivi medici. Abbiamo segnali da tutto il mondo: multinazionali e istituti di ricerca vengono qui per conoscere il nostro know-how e collaborare con noi, perché sulle sostanze naturali ci sono miniere di possibilità. Va fatta però una precisazione: parlando di “erbe” rimaniamo ancorati al passato, il problema non è tanto raccogliere un’erba quanto sapere che erba è, standardizzarla, ci deve essere la ripetibilità dell’effetto, saperla lavorare bene, non aggiungere inquinanti. Noi vogliamo ottenere lo stesso risultato dei rimedi naturali antichi ma in modo innovativo e scientifico, la capacità di attingere a queste sostanze, senza rovinarle nella loro complessità, è un lavoro abbastanza difficile, perché dobbiamo concentrare molto lasciandone inalterata l’efficacia.
La modernità sta anche nella complessità delle sostanze naturali, di solito l’approccio farmacologico è “una molecola e un recettore”, come una chiave con una serratura, ma questo può comportare degli effetti collaterali. L’effetto “chiave serratura” funziona su problematiche “semplici”, ma con patologie complesse come l’obesità la ricerca farmacologica ha fallito. Quando una patologia diventa complessa la sostanza singola diventa sempre meno efficace. Il ricorso a sostanze naturali aiuta a intervenire su patologie complesse.
Citava l’obesità, una patologia che sempre più colpisce anche noi italiani (nonostante i presunti vantaggi della dieta mediterranea). Quali sono le ricerche che state portando avanti in questo settore?
Da diversi anni stiamo lavorando sull’obesità, non solo in quanto tale ma come fattore che precede e comporta patologie molto importanti come sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e l’ipertensione.
Il 45% degli adulti italiani è affetto da sovrappeso e obesità e addirittura un bambino su 3. Un risultato che ci porta a essere il paese con la percentuale più alta di bambini obesi in Europa, a livello mondiale siamo secondi solo agli Stati Uniti. Un dato preoccupante perché i bambini obesi saranno adulti obesi. Il nostro settore ricerca è impegnato quasi al 50% su questo problema. Secondo noi, è importante studiare la problematica, identificando i meccanismi che scatenano questa patologia. Abbiamo identificato due punti di attacco principali: intestino e tessuto adiposo. L’intestino dove avviene il carico, e quindi la regolazione dell picco glicemico dopo pranzo. La glicemia alta dopo pranzo comporta un’insulina alta, più insulina c’è e più si accumula grasso, bisogna tenere basso il picco glicemico.
L’altra cosa da tenere sotto controllo, come detto, è l’infiammazione del tessuto adiposo. Noi pensiamo al grasso come a qualcosa da eliminare, ma questo grasso nel tessuto adiposo non è solo un organo di riserva, al contrario il tessuto adiposo è un organo che regola il metabolismo dei grassi, e quando si ingrassa questo organo va incontro a un processo infiammatorio di cui nessuno si occupa. Noi abbiamo lavorato per cercare di ottenere dei complessi molecolari naturali che andassero a sfiammare il tessuto adiposo, perché un’infiammazione ne implica il malfunzionamento, non rilascia più grassi e non ne brucia. Per esempio il tessuto adiposo è quello che regola la temperatura corporea, e quando c’è questo stato di infiammazione non gli è possibili bruciare grassi. È importante sulla ricerca ripartire da quella che è la fisiopatologia del problema, spesso si parte dal prodotto invece bisogna ripartire dal problema. Per questo abbiamo realizzato due prodotti che coadiuvano, ma è lo stile di vita a dover essere interessato da un cambiamento sostanziale. Non bisogna banalizzare quando si parla di questa patologia, va sganciata dalla moda e dal costume, e affrontata seriamente da più fronti non riducendo tutto al semplice calcolo delle calorie.
Su quali patologie concentrerete il vostro settore ricerca nel 2013?
Sovrappeso, sindrome metabolica e patologie correlate, sistema respiratorio, patologie come la tosse e il raffreddore, pur avendo già un prodotto come il Grintuss. Altro filone di ricerca molto importante sarà quello dell’intestino, abbiamo allo studio patologie come l’IBS e ci interessa molto anche la protezione dello stomaco. Infine, un altro filone su cui si indirizzeranno le nostre ricerche sarà quello della sostituzione del probiotico con il prebiotico, cerchiamo cioè con la nostra ricerca di far star bene i batteri che già abbiamo, quelli buoni che rielaborano quello che noi non abbiamo digerito producendo degli acidi a corta catena. Ci interessa molto questo argomento a livello di ricerca per capire come intervenire per fare star bene la flora batterica, ma anche il contesto dove si trova, cioè l’intestino. Oltre a questi filoni piuttosto pratici ci sono filoni di ricerca evolutivi, abbiamo una collaborazione con l’Istituto Regina Elena sui tumori, per ricercare nuovi complessi molecolari anche in questi campi, su cui non si possono assolutamente fare promesse, ma su cui stiamo profondendo risorse.
Un’ultima domanda: da realtà consolidata che consigli dareste a un giovane imprenditore che voglia avviare una startup “green” in Italia?
La ricetta generale è difficile da dare, dipende molto dalle caratteristiche dell’imprenditore. Ogni nuovo imprenditore, se ha un’idea innovativa, deve puntare sulle sue eccellenze. Non è necessario avere delle idee rivoluzionarie, si può innovare e creare valore anche all’interno di processi esistenti. È importante però farsi delle domande prima di avviare un’impresa: di cosa c’è l’esigenza? Cosa sono capace di fare? Dove potrei dare valore aggiunto? Al di là delle grandi idee, va capito il contesto e bisogna cercare di innovare in quel contesto. Oltre all’idea sono fondamentali per il successo umiltà, lavoro e coerenza.