Climate Change Performance Index 2024: l’Italia è inadeguata a fronteggiare la crisi climatica
Il Climate Change Performance Index 2024 fotografa quello che i Paesi stanno facendo per i cambiamenti climatici e l'Italia perde 15 posizioni
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Negli stessi giorni in cui i lavori della COP28 si avviano verso la conclusione, il consueto rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, il Climate Change Performance Index 2024, dipinge un quadro tutt’altro che rassicurante su quello che hanno fatto e stanno facendo i 63 Paesi e l’Unione Europea nel suo complesso, che rappresentano insieme oltre il 90% delle emissioni globali.
Il rapporto Climate Change Performance Index 2024, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, misura le performance dei Paesi in base agli impegni assunti nel 2015 con l’Accordo di Parigi, prendendo in considerazione il trend delle emissioni, lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica e la politica climatica.
Il risultato è una vera e propria classifica senza un podio: anche quest’anno le prime tre posizioni sono rimaste vuote perchè nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Fatta questa premessa, il Paese più virtuoso si conferma la Danimarca grazie alla sua significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili, seguita da Estonia e Filippine.
Per trovare l’Italia bisogna scorrere un bel po’: il nostro Paese è arretrato di ben 15 posizioni rispetto allo scorso anno, finendo al 44esimo posto tra l’Irlanda e il Sudafrica, nella parte della classifica che ottiene un rating basso. Il punteggio assegnato all’Italia è 50,60 mentre Paesi virtuosi come Danimarca, Estonia, Filippine e India vantano un punteggio superiore a 70. Il commento di Legambiente non lascia spazio a interpretazioni:
Risultato raggiunto soprattutto per il rallentamento della riduzione delle emissioni climalteranti (37° posto della specifica classifica) e per una politica climatica nazionale (58° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. Infatti, l’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40.3% rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal PNRR. Serve una drastica inversione di rotta. L’Italia può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65%, in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili.
Pochi posti più sotto c’è il Paese maggiormente responsabile delle emissioni globali, la Cina, stabile alla 50esima posizione rispetto al Climate Change Performance Index 2023. In fondo alla classifica ci sono senza alcuna sorpresa i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili, inclusi quegli Emirati Arabi Uniti che stanno ospitando la COP28, entrati quest’anno nel Climate Change Performance Index con un pessimo 65esimo posto su un totale di 67: peggio degli Emirati Arabi Uniti soltanto l’Iran (66° posto) e l’Arabia Saudita (67esima posizione).
Nell’ultima parte della classifica, col rating più basso, figurano anche la Polonia (55), gli Stati Uniti (57), il Giappone (58), il Canada (62) e la Russia (63).