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Smog in gravidanza, aumenta il rischio asma

Lo smog respirato in gravidanza raggiunge il feto, rendendo più probabili asma e sindrome respiratorie durante l'infanzia: lo rivela un nuovo studio.

Smog in gravidanza, aumenta il rischio asma

Fonte immagine: Pixabay

Respirare smog in gravidanza può avere importanti conseguenze sull’infanzia del futuro nascituro, con una maggiore probabilità di subire asma e altre patologie respiratorie. È quanto rivela un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, pronto a dimostrare come lo sviluppo del feto in luoghi saturi di inquinanti atmosferici possa influenzare la futura vita del bambino.

La comparsa dei sintomi avviene già in tenerissima età, con la maggior parte dei più piccoli che sperimentano attacchi d’asma già all’asilo. Lo studio vuole così evidenziare la necessità di politiche più mirate per la qualità dell’aria, soprattutto nelle aree densamente popolate.

Smog e gravidanza, le conseguenze sui bambini

Lo studio è stato condotto dai ricercatori del Mount Sinai e dell’Università di Boston, prendendo a campione 376 madri e i loro figli nell’area di Boston.

I ricercatori hanno inoltre voluto dividere le partecipanti allo studio per etnia e area di provenienza, per analizzare anche la pressione sociale ed economica dell’inquinamento e la possibilità d’accesso ad aria pulita. È infatti emerso come i gruppi afroamericani e latini siano maggiormente esposti allo smog, poiché tendono a vivere in aree di Boston più periferiche e maggiormente inquinate.

La maggior parte delle intervistate vivevano in grandi complessi urbani, adiacenti a trafficati snodi stradali, dove i livelli di particolato ultra-sottile (PM 2.5) risultano maggiormente elevati. Dai dati, è emerso come il 18% dei bambini residenti in queste aree sviluppi asma e altre sindromi respiratorie già negli anni dell’asilo, contro il 7% rilevato a livello nazionale negli Stati Uniti.

Secondo gli esperti, i disturbi sperimentati dai bambini non sarebbero solo conseguenza dei primi anni di vita vissuti in aree inquinati, bensì la contaminazione avviene già a livello di utero. Per questo è fondamentale monitorare i livelli di PM 2.5 nell’aria e implementare contromisure per la loro riduzione. Così ha spiegato Rosalind Wright, autrice principale della ricerca:

Questa ricerca è un importante primo passo per migliorare il monitoraggio del particolato ultrasottile negli Stati Uniti. […] L’asma infantile sta diventando un’epidemia globale che probabilmente si estenderà con l’anticipato aumento del particolato nell’aria, a causa dei cambiamenti climatici.

Non solo PM2.5, anche microplastiche

Lo studio statunitense non è l’unico ad aver identificato delle preoccupanti contaminazioni durante la gestazione, soprattutto nelle aree più urbanizzate. Di recente, una ricerca italiana – condotta dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche – ha evidenziato come anche le microplastiche possano raggiungere il feto.

Lo studio ha dimostrato come alcuni frammenti microscopici di plastica possano superano la barriera della placenta delle madri. Gli effetti al momento non sono pienamente noti, anche se si sospetta che alcuni componenti tipici della plastica possano influenzare i normali cicli ormonali umani.

La microplastica entra nell’organismo umano principalmente con la respirazione, con frammenti che tendono a depositarsi nei polmoni, ma anche tramite la normale dieta. Molti degli alimenti che consumiamo quotidianamente sono purtroppo contaminati da plastiche di varia origine.

Fonte: Science Daily

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