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Microplastiche dalla mamma al feto, allarme degli scienziati

Microplastiche dalla mamma al feto, l'allarme degli scienziati: uno studio sui ratti ha dimostrato gravi contaminazioni in gravidanza.

Microplastiche dalla mamma al feto, allarme degli scienziati

Fonte immagine: Pexels

Le microplastiche che contaminano l’organismo possono facilmente passare dalla mamma al feto, depositandosi nei tessuti del futuro nascituro. È quanto rivela un nuovo studio, condotto sui ratti presso la Rutgers University: i rischi dell’inquinamento da plastica potrebbero essere più elevati rispetto a quanto ritenuto fino a oggi.

Non è la prima volta che si parla del rischio contaminazione da frammenti plastici in gravidanza, tanto che solo pochi mesi fa una ricerca italiana aveva dimostrato l’accumulo di microplastica nella placenta delle donne in dolce attesa.

Microplastiche, i rischi da mamma a feto

Pubblicato sulla rivista scientifica Particle and Fibre Toxicology, lo studio ha voluto indagare l’effettiva capacità delle microplastiche di raggiungere non solo gli organi vitali della madre, ma anche del feto che porta in grembo. Ogni giorno introduciamo infatti inavvertitamente grandi quantità di frammenti di plastica, sia con la respirazione che con l’alimentazione.

I ricercatori hanno quindi sottoposto un gruppo di ratti a un esperimento. Agli animali sono stati sottoposti dei frammenti di materiale plastico – delle microsfere di polistirolo – a cui è stato aggiunto un elemento chimico fluorescente affinché se ne potesse seguire il tragitto nell’organismo. Il quantitativo ingerito risultava all’incirca il 60% di quello a cui normalmente sono sottoposti gli umani, e altri esseri viventi, in una giornata. Per l’esperimento, sono stati scelti roditori al diciannovesimo giorno di gestazione, ovvero all’incirca due giorni prima rispetto alla data media del parto per la loro specie.

Il test ha evidenziato come queste microplastiche, una volta ingerite o inalate, siano in grado nei topi di superare la barriera della placenta in circa 90 minuti. Dopo 24 ore, i ricercatori hanno rilevato i primi effetti sul feto: il peso del piccolo risultava del 7% inferiore rispetto ai ratti del gruppo di controllo, mentre la placenta ha visto una riduzione dell’8%.

L’analisi ha permesso di stabilire che la microplastica, soprattutto se inalata, sia in grado di passare rapidamente dai polmoni al cuore, per poi raggiungere la placenta e il feto tramite la circolazione sanguigna.

Gli esperti hanno però sottolineato come, almeno al momento, l’allarme non debba essere eccessivo, poiché le condizioni di laboratorio non riflettono perfettamente quelle della realtà. Mentre con i ratti sono state usate delle microsfere, nella vita di tutti i giorni è più probabile che i frammenti di microplastica siano squadrati o irregolari. E, come sostiene il ricercatore John Boland, la forma ha un’importanza fondamentale:

È importante non sovrastimare l’interpretazione di questi risultati. Le nanoparticelle usate in questo esperimento hanno forma sferica, mentre quelle nella vita reale sono irregolari. La forma ha importanza, perché determina come queste particelle interagiscono con l’ambiente che le circonda.

Ulteriori studi saranno necessari, anche per capire se vi sia un preciso effetto tossicologico oppure le microplastiche influenzino più semplicemente il flusso sanguigno. Non si esclude, infatti, che la loro presenza possa ridurre proprio il flusso di sangue, rallentando l’apporto di ossigeno e sostanze nutrienti al feto. Ancora, gli scienziati vogliono ora indagare gli effetti dell’esposizione cronica a questi materiali.

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