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Insalata in busta: 7 motivi per farne a meno

Le insalate in busta sono state di recente oggetto di diverse discussioni e studi scientifici, ecco 7 motivi per farne a meno.

Insalata in busta: 7 motivi per farne a meno

Fonte immagine: Joe_Potato via iStock

Lavata, tagliata, adagiata in un sacchetto bello gonfio, da aprire direttamente in tavola: l’insalata in busta sembra una comodità dei tempi moderni. Dietro questa croccantezza cosa si nasconde? Un pacco di problemi. L’etichetta ci da alcune informazioni, altre dobbiamo ricavarle da considerazioni o studi. Ecco allora sette buoni motivi per imparare farne a meno.

Quarta gamma

L’insalata imbustata è uno dei cosiddetti “prodotti di quarta gamma”, già pronti cioè per il consumo. Prima di arrivare sugli scaffali dei supermercati questi ortaggi passano per un processo di lavaggio con abbondante acqua (e relativo spreco rispetto al più ecologico lavaggio casalingo). In genere nelle vasche viene aggiunta una soluzione a base di cloro, di cui però non è dato sapere né il grado di concentrazione, né il profilo chimico del cloro impiegato.

La legge prevede che la conservazione avvenga a temperature inferiori agli 8°C, ma spesso la realtà è che viene stoccata in celle frigorifere, in un clima inopportuno per gli ortaggi. Una volta che i camion trasferiscono le insalate nei punti vendita, questa condizione termica è ancor più difficile da mantenere, dato che i reparti frigo sono aperti e le confezioni più esterne risultano facilmente alterabili.

Insalate in busta, scaffale
Fonte: Lucia Cuffaro

Una punturina di Gas

Sul retro della confezione tra slogan di “freschezza” e “naturali” metodi di coltivazione appare una strana dicitura: “confezionato in ATM (atmosfera protettiva)”. I prodotti ortofrutticoli subiscono ovviamente processi di ossidazione a contatto con l’aria; il classico annerimento e mollezza delle foglie. Per questo motivo l’industria alimentare ha creato un ingegnoso metodo per controllare l’atmosfera con cui viene a contatto l’insalata, sostituendo l’aria con gas da imballaggio, per aumentarne la conservazione.

La miscela gassosa utilizzata è a base di uno o più elementi: azoto, ossigeno e anidride carbonica (“gas d’imballaggio” regolamentati dalla Direttiva europea 95/2/CE). E anche in questo caso non è nota il metodo di produzione e la composizione dei composti chimici. Le confezioni risultano quindi belle gonfie per i gas. Talvolta contribuisce a questo effetto anche il processo fermentativo a opera batterica, che comporta però una più veloce degradazione del prodotto.

Breve scadenza

Una volta aperto il sacchetto, l’insalata dura non più di uno-due giorni, come da indicazione del produttore riportate in etichetta. L’ortaggio del mercato, al contrario, arriva brillantemente a una settimana. Può capitare anche di vederla deteriorata anche prima dell’apertura della confezione. Se all’interno c’è un liquido verdognolo-marrone mal odorante è il caso di buttarla via, perché potrebbe contenere batteri come la Salmonella, come raccomanda l’Istituto Superiore di Sanità. Per diminuire questo spreco è importante che l’insalata vada nel cassonetto dell’organico: solo così potrà tornare alla terra creando compost di qualità.

Insalata frisee
Fonte: Pixabay

Microrganismi patogeni

A febbraio 2019 uno studio dell’Università di Torino ha analizzato un campione di 100 insalate in busta, allertando i consumatori riguardo le modalità di lavaggio industriali (che non eliminerebbero completamente la carica batterica). Dai dati hanno fatto capolino microrganismi e batteri di varia natura: tra i più pericolosi l’Escherichia coli (nel 3% dei campioni), l’Enterobacter sakazakü (10%), Pseudomonas nel (17%) e lo Staphylococcus (18%). Non manca anche il microorganismo Toxoplasmosi, che può portare a una malattia parassitaria dannosissima in particolare per le donne in gravidanza, perché trasmissibile al feto.

Prezzo alle stelle

In media 1 kg di lattuga costa al consumatore finale circa 1.60 euro al kilo, mentre 1 kg di insalata pronta arriva a circa 10 euro al kg. In soldoni la paghiamo sei volte di più. Con netto disappunto del nostro portafoglio.

Imballaggio che diventa Plasmix

Nell’epoca dello spreco e dei rifiuti che soffocano la terra dovremmo evitare packaging inutili, come quello di un sacchetto per insalata. Che oltretutto è prodotto con plastiche che finiscono fin troppo spesso nel mix delle eterogenee. Solo una piccola parte di queste si riesce oggi a riciclare correttamente nei pochissimi impianti presenti in Italia. Tutto il resto finisce in discarica e soprattutto negli inceneritori.

Insalata, verdure
Fonte: Pixabay

L’alternativa c’è

Ogni giorno possiamo scegliere di destinare il nostro euro a prodotti sani che provengono da filiere etiche a basso impatto ambientale. Mercati rionali, spacci dei contadini, negozi bio: i luoghi dove trovare una buona insalata sfusa sono tanti. E se vogliamo faticare poco per metterla in tavola, c’è un trucco che ne velocizza i tempi: una volta lavata possiamo tagliuzzarla direttamente in una ciotola con l’aiuto di un comune paio di forbici.

C’è un altro posto dove poter “fare la spesa”: il nostro terrazzo. È più semplice a dirsi che a farsi, coltivare l’insalata in vaso. Basta acquistare da un buon vivaio piantine alte circa 10 cm del tipo lattuga, rucola, songino, radicchio o come più ci piace. In genere ognuna di queste costa 15 centesimi l’una. All’interno di capienti vasi le interriamo disponendole con delicatezza e lasciando un palmo di mano di distanza l’una dall’altra. In poche settimane saranno pronte per la raccolta, croccanti e saporite per arricchire di salute la nostra tavola.

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