Black Friday: il lato oscuro e insostenibile del venerdì di sconti
Il Black Friday è davvero conveniente e quali sono i rischi che corre l'ambiente ogni anno di questi tempi?
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Forse questa cosa del Black Friday ci sta sfuggendo di mano. Per chi non abbia la residenza negli Stati Uniti e qualche avo sbarcato dal galeone Mayflower a Cape Cod nel 1620 non ha ovviamente alcun senso storico, religioso o politico in senso lato. Tuttavia il modo in cui il “venerdì nero” esploso negli anni ottanta negli Usa si è imposto anche in Italia e in molti altri Paesi europei ha un che di pachidermico e miracoloso, ma anche di profondamente nauseante in termini di attenzione e narrazione. Si tratta né più né meno di una giornata – anzi, di un periodo di dieci giorni – di saldi. Se negli Usa si va davvero per negozi, negli altri Paesi il fenomeno si sviluppa principalmente online, annacquando dunque il senso dello spin off Cyber monday. Fuori dagli Usa è tutto cyber il Black Friday.
Ora non bisogna essere evidentemente dei fan della decrescita felice per capire che sotto l’aspetto della sostenibilità questa allucinazione di massa è una mazzata micidiale: l’anno scorso in questa giornata, e solo su Amazon, sono stati fatti in media 12 acquisti al secondo. Senza considerare tutte le piattaforme e i negozi online. In Cina un fenomeno simile, il Single Day “celebrato” (già, ormai si tratta di riti laici) l’11 novembre ha fatto segnare un record assoluto: in 24 ore sono state vendute merci per oltre 30 miliardi di dollari. Cioè 5 miliardi di dollari in più dello scorso anno, ossia quanto noi italiani generiamo online in un intero anno (27,4 miliardi di euro). Queste merci vanno recapitate e spesso questo avviene in modo tutt’altro che efficiente, in uno squilibrio fra CO2 prodotta e valore dei beni e dei servizi ai limiti dell’insopportabile.
Certo non è abolendo il Black Friday che risolveremo il problema dell’inquinamento o l’invasione dei corrieri nelle nostre città. D’altronde i fenomeni sociali non si aboliscono per legge e chi pretende di farlo, quasi in chiave sovietica, è un povero illuso. Potrebbe tuttavia essere utile interrogarsi su un paio di elementi di quei presunti fenomeni sociali. Come sempre l’unico lavoro da fare è sensibilizzare e accendere il cervello.
Primo: quanto sono davvero spontanei e quanto invece figli di spietate strategie di marketing, questi appuntamenti planetari? Secondo: quanto ci convengono davvero? Bisognerebbe cioè fare un passo indietro e rendersi conto che, come dicevamo, si tratta appunto di un comune periodo di saldi. Come tutti i periodi di sconti, tranne che nelle piattaforme che possono permetterselo, c’è il rischio di non trovare i prodotti dei brand migliori, di vedere i magazzini svuotarsi e più in generale di essere spinti, a ogni costo, all’acquisto. Anche quando non ce ne sarebbe alcun bisogno.
Secondo il Politecnico di Milano gli italiani spenderanno più di un miliardo di euro online in appena quattro giorni. In un boom che negli ultimi quattro anni ha visto salire gli acquisti del 140%. Sono “dati molto positivi e incoraggianti – commenta l’ateneo milanese – che testimoniano come queste iniziative, di origine americana, piacciano sempre più e siano ormai entrate nelle abitudini degli italiani poiché percepite come irrinunciabili occasioni per risparmiare sui regali di Natale e per permettersi oggetti del desiderio o di uso quotidiano”.
Chi ce le ha trasformate in “irrinunciabili occasioni”? Poi: davvero risparmiamo sui regali di Natale? Risparmiamo però rispetto a cosa, a quale standard, deciso da chi? Cosa ci perdiamo invece in termini di inquinamento (nessuna stima è stata fatta in merito). Quali prodotti e quale assortimento ci vengono proposti, che genere di effetti produce il bombardamento mediatico concentrato in questo periodo sulla compulsione all’acquisto, sullo spreco, ma soprattutto sul senso di una narrazione isterica che convince centinaia di milioni di consumatori all’ennesimo click quando, nel corso dell’anno, potremmo trovare periodi migliori in termini di convenienza e meno dannosi in chiave di sostenibilità?